NOVEMBRE

DI RINO GIRIMONTE

Ho conosciuto gli ampi spazi del dolore, tunnel di luci alterne che mi attraversa ancora,
ho visto mani sporgersi in forma di un addio,
sul campo arido d’acqua e di concime,
la dolorosa distanza tra due fiori,
la loro fragile, godibile, bellezza,
la pazienza e la rabbia delle stagioni.

Ho scritto fiumi di parole
e potevo farne a meno,
ho letto poemi complicati senza capire il senso,
mi son lasciato perdere
per non farmi trovare,
a piedi nudi nelle strade di novembre,
un cimitero di foglie morte,
in fondo, una prigione.

Non c’è ragione che sostenti il male,
e siamo niente di fronte al terrore,
un coltello o una chitarra,
la capricciosa turbolenza dell’azzardo,
l’incontro e l’abbandono,
due punti sospesi sulle labbra del mare.

Ho sfiorato il fondo e le cime,
inadatto al compromesso,
di quel vino ho riempito il calice,
di quei baci mi son pieno la bocca,
alla mia tavola a ricamar scrittura,
nei giorni di luce e ombra,
a costruir metafore,
a scavar piramidi,
a tirar pietre alle nuvole,
inermi nel loro biancore,
e vederle passare,
io sotto, con le mie paure.

Ho toccato i punti acuminati del quadrante,
lá dove, dicono, dimorano i venti,
ho sentito dentro, nel profondo delle mie ore,
la notte galoppare
lungo il recinto di fango e frumento,
nell’acque torbide del sogno.

Tengo per me
il privilegio del ricordo e una canzone,
il dizionario muto delle lacrime,
pagine e pagine mai chiuse,
sul leggio del mio altare senza icone.

E scrivo versi con mano incerta,
aggrappato al bordo della tempesta,.
come Ulisse legato alla sua barca,
come un fiore che si sporge col suo aroma,
e la sibilla che consiglia :
coglilo in fretta prima che muoia.