DI CLAUDIA SABA
Ogni giorno, in ogni momento, una donna può cadere vittima di violenza.
Fuori e tra le mura di casa.
“Si, aboliamo la violenza sulle donne”, dicono.
A parole però.
Valanghe di parole!
Tra parate e sorrisi di circostanza distribuiti ai tavoli della gente che conta.
Ma i fatti?
Pochi, pochissimi.
E solo per innalzare se stessi/e.
Così la violenza resta, pronta a colpire ancora le donne.
Per mano di uomini incapaci di accettare di metterci sul loro stesso piano.
Incapaci di considerarci umane e non semplicemente loro proprietà.
Il 25 novembre, giornata contro la violenza sulle donne, sta per arrivare.
E le parole non servono più, dopo le morte ammazzate di questi giorni, dopo ingiuste sentenze che hanno prodotto conseguenze disastrose.
Che deve fare una donna per conquistarsi una vita?
Basta convegni e tavole rotonde, basta belle parole, basta rinchiuderle in case, nemmeno troppo dorate, per “proteggerle”.
Da chi, da cosa?
Basta davvero.
Una donna che denuncia va protetta senza essere rinchiusa.
È lui che va rinchiuso.
Il persecutore, l’aguzzino, il violento.
Perché una donna dopo gli abusi, dopo il terrore, dopo le violenze, dopo aver trovato il coraggio di denunciare, deve perdere anche la sua libertà?
Non può continuare così.
Fino a quando il violento non verrà punito, sin dal giorno dopo il presunto reato, fino a quando non si assumerà le sue responsabilità senza ricorrere a ridicoli stratagemmi, saranno sempre le donne a pagare.
Da vive.
Ma anche da morte, nelle aule di “in-giustizia”.
Crediamole queste donne!
Intanto…
Buon 25 novembre.
Buona “festa” dell’ipocrisia.