DI SEBASTIANO ARDITA
Lea Garofalo, donna-coraggio e testimone di giustizia, venne uccisa il 24 Novembre 2009 ed il suo corpo dato alle fiamme.
Mori’ senza alcuna protezione dopo che aveva accusato molti mafiosi e tra questi Carlo Cosco, il boss di Petilia Policastro che era stato il suo compagno col quale aveva avuto una figlia. Nel maggio 2009, in una prima occasione, Cosco aveva tentato di farla rapire per ucciderla e poi il 24 novembre, dopo averla attirata in una trappola, la fece uccidere e il suo corpo fu bruciato per tre giorni fino alla completa distruzione.
A Lea era stata data la protezione nel 2002, ma poi tolta nel 2006 perché ritenuta non attendibile. Quando morì era da sola .La sua è stata una storia emblematica che riassume la DISATTENZIONE verso i testimoni ed i collaboratori di giustizia.
Il 28 aprile 2009, poco prima del primo tentativo di ucciderla, Lea Garofalo rinunciò alla protezione che gli era stata ridata dal giudice amministrativo. Poi si rivolse al Presidente della Repubblica Napolitano con una lettera nella quale “lamentava di aver ricevuto un’assistenza legale carente sotto vari punti di vista, di essere stata obbligata a trasferirsi in diverse città con la figlia piccola nell’ambito del programma di protezione, di aver perso un lavoro precario, tutti i contatti sociali e la propria dimora anche per sostenere le spese degli avvocati.”
Oggi lo Stato la riabilita, con ritardo e con grandi responsabilità rispetto al suo sangue innocente.