YUKIO MISHIMA, IL D’ANNUNZIO E IL PASOLINI GIAPPONESE

DI LUCA BAGATIN

Il 25 novembre 1970, lo scrittore e poeta Yukio Mishima, si tolse la vita attraverso il seppuku, ovvero il suicidio rituale dei samurai.

Lo fece per denunciare la decadenza che stava attanagliando il Giappine che, avendo accettato il trattato di San Francisco e introdotto la Costituzione del 1947 (la quale aveva accettato il parlamentarismo liberale), si stava occidentalizzando e imborghesendo.

Mishima, che si definì sempre apolitico e antipolitico (e non fu affatto fascista, come qualcuno lo definì, sia a destra che a sinistra), credeva semplicemente in quei valori antichi, ove l’amore e l’onore erano anteposti al disvalore del danaro, del consumo, della messa in vendita dell’essere umano, della sua mente, del suo corpo.

Ovvero tutti disvalori che, purtroppo, divennero parte integrante di un Giappone che è ormai iper-tecnologico, iper-economicista, iper-capitalista e, dunque, iper-sclerotizzato.

Un Paese preda, da tempo, di una crisi umana e affettiva, compensata in maniera del tutto bulimica e irrazionale attraverso consumi compulsivi, sesso a pagamento, addirittura con bambole “sessuali”, oggetto sempre più in voga in Giappone.

Ed è un Paese che registra ormai fra i 25 e i 30 mila suicidi all’anno, per apatia e noia da consumismo.

Mishima fu, per il Giappone, allo stesso tempo il d’Annunzio e il Pasolini. Il poeta eroico, patriottico e anarchico e il profeta, il cantore dell’arcaismo e della civiltà dell’innocenza.

Sacrificare la vita per qualcosa di estraneo ad un interesse materiale potrà sembrare dissennato, ma una delle mie idee fondamentali è che l’essenza del promettere non sia da ricercare nello spirito dell’odierna società contrattuale, bensì nella lealtà degli esseri umani. Nella vita di ogni uomo il tempo non ritorna”, scriveva Mishima, ed è così che vogliamo ricordarlo.

Luca Bagatin

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