DI ALBERTO BENZONI
Questo, almeno, è il parere dei due più importanti “centri diagnostici” specializzati nella materia: la Freedom house americana e un istituto svedese. Ambedue concordi nel descrivere una situazione di progressivo deterioramento, in atto dal 2010 in poi.
Una crisi molto diversa da quelle che l’avevano preceduta, nella prima e nella seconda metà del secolo scorso. Quando, nel corso degli anni trenta, la democrazia liberale appariva spettatore impotente dello scontro tra fascismo e comunismo. O, ancora, quando, nel secondo dopoguerra, il comunismo, nelle sue varie versioni, sembrò a un certo punto, detenere le chiavi del futuro.
In ambedue le circostanze, però, l’occidente e i suoi valori, vinse, anzi stravinse lo scontro. Come mai, allora, questi valori sono in ritirata in tutto il mondo? Tutta colpa degli intrighi del Cremlino e dei prestiti, distribuiti a piene mani da Pechino?
Se questo fosse il problema, avrebbe ragione Biden. E, per superare la prova, basterebbe mettere in ordine di battaglia (pacifica, pacifica) i Buoni per avere ragione dei Cattivi.
Purtroppo, però, le cose non sono così semplici. Perché, come ci spiega il rapporto di Stoccolma, il continuo declino della democrazie liberali non è dovuto al fascino esercitato da altri sistemi; ma a fattori endogeni. Tra loro connessi. E sintetizzabili nella totale sfiducia nella capacità della politica e dei partiti di controllare e orientare il corso degli avvenimenti rispondendo ai bisogni e alle ansie della gente. E alla corrispondente perdita di credibilità di tutte le autorità e istituzioni collettive. Travolte, dal canto loro, da un individualismo sfrenato e anarcoide e dall’onnipotenza invasiva del denaro.
In questo quadro, lo smottamento del sistema (particolarmente rilevante, per inciso, nei paesi amici e alleati dell’America) lo porta a riassestarsi su di una linea mediana: quella della “democrazia illiberale”. Luoghi dove si vota e dove, attenzione, si interferisce il meno possibile nelle libertà personali; ma dove, al centro della scena, c’è l’autocrate che fa e disfa a suo piacere.
In tutto questo, per venire alla seconda delle nostre finestre, elemento determinante è il totale discredito dello stato guida della democrazia nel mondo: gli Stati uniti. Oggi ritenuti un modello da seguire da appena il 17% degli intervistati dall’Istituto svedese. E, come vedremo, con una qualche ragione.