IL CASO RITTENHOUSE E IL PARTITO REPUBBLICANO

DI ALBERTO BENZONI



Come sapete, Kyle Rittenhouse è quel giovane che, a Kenosha, dove era arrivato partendo da una città situata a più di cento chilometri di distanza, armato dal suo fucile da caccia, lo ha usato per uccidere due persone e ferirne una terza. E che è stato oggi assolto in base al principio della legge sulla legittima difesa putativa: quella che consente ai tutori delle legge e ai cittadini onesti di ammazzare chiunque appaia ai loro occhi minaccioso: perché resiste all’arresto, perché sembra estrarre qualcosa dalla tasca, perché si muove in modo scomposto, perché sta in un posto sbagliato nel momento sbagliato, perché è nero.
Ora, il suo avvocato è indignato. Perché esponenti del partito repubblicano hanno glorificato il suo gesto, fino a proporgli un lavoro al Congresso.
Ma non è il caso che si preoccupi troppo. Perché, ad agitarsi in modo scomposto, sono i trumpiani puri e duri. Quelli del Qanon, del 6 gennaio, della vittoria rubata e trasformata in sconfitta. Mentre il partito repubblicano si appresta a vincere. Nel 2022. E anche nel 2024. Con Trump; ma magari anche senza. Mobilitando passioni pericolose. Avvalendosi di tutti i mezzi legali a propria disposizione. E per finalità propriamente eversive.
Né si possono definire altrimenti situazioni in cui il diritto all’aborto è appeso a un filo, il sistema giudiziario condizionato dalle nomine di Trump, il partito repubblicano ricompattato sulla linea dei “no vax”, la libertà di insegnamento minacciata; e, infine, il regolare svolgimento delle operazioni elettorali e il rispetto dei relativi verdetti rimessi in discussione. E, attenzione, in nome di principi e di diritti fissati nell’America di fine settecento.
Si apre, a questo punto uno scontro di civiltà. In cui si gioca il futuro della democrazia e dei democratici americani. E in cui sarebbe lecito attendersi un minimo solidarietà da parte dell’Europa…