POLONIA, BIELORUSSIA, EUROPA, MIGRANTI. CHI HA VINTO E CHI HA PERSO


DI ALBERTO BENZONI
La grande crisi alle frontiere polacche sta finendo e per esaurimento politico – e questo è un bene – ma anche fisico – e questo, per i diretti interessati, è sicuramente un male.
Tempo di bilanci, dunque; e anche di commenti. Un compito che la stampa italiana, nel suo insieme, si è ben guardata da svolgere. Ma che è assolutamente necessario.
E’ in questo spirito che invitiamo i nostri lettori a seguire con noi il corso degli avvenimenti. Alla luce degli obbiettivi che si proponevano i protagonisti della vicenda, permanenti – la Polonia – o temporanei – la Bielorussia. Così come le reazioni degli spettatori – l’Europa – e i comportamenti delle vittime – i migranti.
Al principio, la Polonia che, già nella prima metà dell’anno, drammatizza al massimo quello che accade alle sue frontiere. Letteralmente, una vera e propria aggressione di migranti descritti, ebbene sì, come terroristi, malati e malavitosi. Provvederà, s’intende, da sola a respingerli; e non ha bisogno nemmeno dello strumento che la Nato pone a sua disposizione, il Frontex. Quello che vuole è semplice il riconoscimento del suo ruolo salvifico; e magari anche il finanziamento della costruzione del muro da parte dell’Ue.
Questa non ha nulla dire sulla criminalizzazione dei migranti. E autorizza anche la Polonia a costruire tutti i muri che desidera. Ma a spese proprie.
A questo punto, arriva Lukashenko. Un bandito, sgradito a tutti, Putin compreso. Ma inamovibile, grazie alla posizione geografica del suo paese.
Una posizione che, nel nostro caso, gli consente di giocare al ricatto. “O mi date qualcosa o faccio partire i migranti”. Un ricatto praticato con successo da turchi, libici, tunisini, marocchini; perché non dal Nostro?
Il fatto è che a Lukashenko manca la materia prima. E allora, la fa arrivare dall’estero, pagandole il viaggio e spedendola verso il confine. Il tutto nel modo più pacchiano e disordinato possibile.
Per la Polonia l’occasione ideale per alzare il tiro. “L’aggressione più violenta dalla seconda guerra mondiale in poi… Lotteremo per mesi e per anni per difendere… Oggi tocca a noi, domani toccherà a voi”. Il tutto mentre alla frontiera e nei boschi bivaccano non di più di qualche migliaio di migranti in condizioni pietose.
Una retorica ignobile. Funzionale a quattro obbiettivi: implicare Putin come protagonista dell’aggressione; vedere riconosciuto dall’Europa il proprio ruolo nel respingerla; imporre alla Germania il ritorno all’ortodossia atlantica; ricompattare intorno al governo l’opinione pubblica nazionale.
Nessuno di questi obbiettivi è stato raggiunto. A partire dal fatto che l’Europa, una volta rassicurata da Mosca sulle forniture di gas, ha aperto, tramite Merkel, il dialogo con Lukashenko; ma senza toglierli, come sperva, le sanzioni e intimandogli di rimandare nei paesi d’origine i migranti, per lo più curdi e siriani, magari dandogli una mano nell’operazione.
Alla fine, svaporati i fumi tossici della retorica, rimangono i fatti: migranti tornati dove non volevano rimanere, pieni di debiti e senza speranza. E le persone nelle foreste della Bielorussia senza potere andare avanti e senza volere tornare indietro; sino a spingere molti di loro a chiedere asilo politico in Bielorussia.
E rimangono, di riflesso, i muri e i respingimenti dell’Europa, dal Baltico all’Atlantico. E l’Italia magari sul banco degli imputati come “ventre molle” della fortezza Europa…
Umberto Siniscalchi Claudia Saba Due Luca Bagatin