DI ANTONELLA PAVASILI
Io penso che le file negli uffici pubblici dovrebbero diventare obbligatorie per legge.
Tipo “Ogni cittadino italiano è obbligato a trascorrere almeno un’ora al mese in fila presso un pubblico esercizio. I trasgressori saranno puniti con la pena di cui al comma successivo”.
Sulla pena non mi sbilancio, ci penserebbero gli esperti dopo il vaglio delle varie commissioni competenti.
E non scherzo, lo penso davvero.
L’attesa in fila è ormai diventata una delle rarissime occasioni di scambio “umano”, soprattutto in quei luoghi, tipo la banca, in cui sei obbligato a lasciare il telefonino “nell’apposita cassettiera” insieme a tutti gli altri oggetti metallici e, in quanto tale, può anche rivelarsi una preziosa occasione di speranza.
E andiamo al dunque.
Oggi, dopo non so più quanti mesi, sono stata costretta ad andare in banca di persona personalmente, come direbbe il Catarella del Maestro mio.
E, ovviamente, prima di me c’era il numero massimo di clienti consentito dalle attuali norme anti contagio in fila peraltro disorientati dalla mancanza dell’eliminacode col bigliettino.
Dramma nel dramma.
Perché abbiamo tutti fretta, tutti, sempre.
E abbiamo tutti urgenze programmate al secondo.
Figli da prelevare a scuola, prosciutto senza polifosfati da comprare al supermercato a dieci chilometri da casa, cane che se fai tardi va in panico e allarma tutto il vicinato, e così via.
E, se manca l’eliminacode non puoi nemmeno prendere il bigliettino, uscire, comprare il pane e rientrare.
No, devi stare li.
A scambiare batteri e virus con altra umanità.
E così, tra un batterio e un virus, che per fortuna hanno vita difficile con le mascherine, tra un brontolio e l’altro, mi sono goduta una conversazione con un signore che mi ha scelta come interlocutrice privilegiata.
Io non ho mai vinto niente ai sorteggi, ma in questo tipo di riffa, modestamente, non mi frega nessuno.
Il signore in questione avrà avuto massimo 60 anni, non era Matusalemme insomma, ben vestito, curato, capello impomatato con una perfetta scriminatura di lato e profumava di pulito.
Esordisce dicendo che ormai in questo mondo non ci sono più regole, che non si mangia più a mezzogiorno preciso come invece dovrebbe essere, che le famiglie si sfasciano perché le donne sono sempre in giro al lavoro e che così non va bene.
Io devo averlo guardato con un’aria piuttosto interdetta tanto che lui ha sentito l’esigenza di precisare.
“Vede, siamo in 6 qui dentro, 4 donne e 2 maschi. E al pranzo chi ci pensa?”
Evidentemente il mio sguardo inebetito lo spinge a chiarirsi meglio, e lui rincara.
“Io sono più fortunato, mia moglie lavora, ma a mezzogiorno è a casa e quando rientro trovo pronto. Ma non è che tutto funziona bene come dovrebbe. Sa quante volte cerco una camicia e lei mi dice che non ha avuto il tempo di stirarla? E quanto ci vuole per stirare una camicia? Dieci minuti al massimo! E lei a volte non fa in tempo. Però la mattina prima di uscire sta un quarto d’ora davanti allo specchio e si pitta!”
Ora, accade raramente che io rimanga senza parole, ma stavolta mi è successo.
Cercavo la risposta giusta, il tono educato, la battuta ad effetto.
Ma niente, mi veniva in mente solo Totò “Lei è un cretino, si informi!”
Stavo per cedere alla tentazione quando è giunto in mio soccorso un ragazzo che ascoltava inebetito forse più di me.
Carino, giovane, jeans, camicia azzurra, capello appena più lungo della misura regolamentare e con una vistosa e sparluccicante fede nuziale all’anulare sinistro.
Così’ brillante che capivi subito che si era sposato da poco.
Incrocia il mio sguardo, scuote la testa e lo dice.
Lui lo dice, con la freschezza dei suoi anni.
“Ma lei cosa sta dicendo? La camicia non se la può stirare da solo visto che è così facile? E poi cosa c’è di male se sua moglie si trucca? La preferirebbe forse trascurata? Ma lei se lo è mai fatto il conto di quante ore in più lavorano le donne rispetto a noi? Io mia moglie cerco di aiutarla in tutto, magari a volte faccio pasticci, ma poi ridiamo insieme e lei rimedia…Ma cose da pazzi!”
Io vorrei applaudire e abbracciarlo.
Ma sono troppo impegnata a godermi il lieve rossore che pervade la porzione scoperta delle guance del signore con la scrima di lato.
Provvidenzialmente arriva il suo turno, si sbriga in fretta e guadagna l’uscita.
Lo vedo armeggiare nervoso mentre tenta di aprire “l’apposita cassettiera” e spero sadicamente che la serratura si inceppi.
E’ il turno del ragazzo neo sposo.
Mi cede il posto “Io non ho fretta, pranziamo quando arriviamo”.
Lo guardo e lo amo.
Follemente.
I giovani salveranno il mondo.
E guai a chi osa metterlo in dubbio.
Dobbiamo ancora aspettare qualche anno… ma poi tutto s’aggiusterà.
Lo ringrazio, metto la firma che dovevo mettere e, prima di uscire gli faccio l’occhiolino.
E penso con tenerezza anche alla sua mogliettina…