DI ANTONELLA PAVASILI
È sabato sera.
Piove a Ravanusa, in Sicilia.
Piove tanto e fa freddo.
Le famiglie sono riunite in casa, sulle tavole i rustici siciliani del sabato sera.
Gli arancini, i calzoni, le pizzette.
La tv è accesa, c’è il telegiornale.
Parlano di Covid, di politica, di tragedie.
Ma in quelle case calde tutto sembra lontano.
Si cena, si chiacchiera, ci si vuol bene.
Più tardi ci sarà la Carlucci con i ballerini o Baglioni con le sue struggenti canzoni.
In un angolo in salotto c’è il presepe.
In quasi tutte le case siciliane c’è un presepe.
E magari anche l’albero di Natale, con le sue luci e sotto qualche panettone e forse anche una cesta con lo “scaccio” la frutta secca che si mangia dopo cena, durante le feste.
Fichi secchi, castagne, noci, noccioline.
Piove fuori, ma dentro è caldo e dolce.
La vita spennella sorrisi e ammicca promesse.
Domani sarà domenica e tra pochi giorni sarà Natale.
E l’orrore di questa pandemia prima o poi finirà.
Il cuore si riempie.
Tra poco sarà Natale.
E invece no.
Finisce il Natale a Ravanusa.
Tutto esplode.
Le fiamme avvolgono case, donne e uomini.
In strada la gente urla.
“Chi fu? Chi fu?”
È esploso il gas.
Il gas? Sì, sì…il gas.
E comincia l’inferno.
Chi manca, chi è stato trovato, chi deve lasciare casa.
E il dolore abbranca il cuore.
Le lacrime si anneriscono di fumo e rabbia.
Tra le macerie i cani e gli eroi dei soccorsi cercano e cercano e cercano.
Un lamento, una voce flebile, un sospiro.
Possono ancora farcela.
Dobbiamo crederci.
E pregare.
Perché tra poco arriverà Natale.
E lì, accanto alla tavola, c’è ancora un presepe.
Per Ravanusa