DI LIDANO GRASSUCCI
Tempi agri per… il mio gatto mi guarda, ha una testa enorme e lo sguardo delicatissimo come fosse ancora un micetto ed invece è un grande gatto, un gattone. Ha occhi da piccolo ma è condannato ad essere grande.
E’ tempo di Natale è tempo di famiglia sacra, ma quell’uomo…
Giuseppe non ha ricevuto l’annuncio ma gli hanno chiesto di credere e di “curare” questo credere per amore immenso di Maria. Giuseppe non sta nel disegno divino, è come fosse comprimario, a latere, e deve prendersi cura di quel bimbo che cura e della madre. Lo fa come fa il mio gatto a guardare quei mici che giocano ad esser vivi e imparano a fare i grandi per rimanere soli da grandi.
Giuseppe salva il bimbo di Dio, mentre il padre che è Domine Iddio non ha altrettanta generosità. Siamo uomini, siamo destinati ad essere comprimari del miracolo di vivere e ad un certo punto usciamo dalla storia, e le scritture sacre e profane dimenticano di noi e parleranno di chi non ha “difeso il suo amore”.
Io e il mio gatto ci guardiamo al freddo di questo dicembre, vinti dalla solitudine di chi vedrà i figli andare da un Dio che prenderà tutto e noi saremo il niente del mondo.
Ecco saluto Giuseppe nel comprendere la sua ragione di non chiedere niente alla Storia delle Storie che quel Nazareno è figlio di Dio ma da bimbo fu amato da Giuseppe e Iddio non c’era.
Il mio gatto mi aspetta, io sapevo del suo aspettare, come due amici al bar a raccontare amori che per la storia ci hanno escluso.
Fa freddo e Giuseppe trova la grotta, l’asinello e il bue ma sarà di angeli e Dio la scena.
Quadro: Giudo Reni, San Giuseppe con il bimbo, 1635 Ermitage-San Pietroburgo
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