DI LIDANO GRASSUCCI
Trovo tra le cose che ho scritto (Dio mio quanto scrivo, sarà una malattia?) un pezzo dei miei contorti da morire dove compare una lezione di mia nonna.
Lo rileggo e credo ci sia un poco del filo che spiega una religione complessa come la nostra e disegna l’educazione mia non meno contorta. Mi sono sempre chiesto perché un Dio creatore si dovesse fare sua creatura e nel farlo avesse dovuto chiedere “permesso” ad una donna, un Dio che riconosce l’indispensabilità della donna rendendola creatrice di creatore, una storia che non ha eguali possibili. Come se l’angelo si facesse orco per provare la malvagità e capirla.
In questo “scendere” da divino a umano scopre due cose che non aveva creato: l’amore e il dolore. L’amore che ha mille forme ma va condiviso, e Dio era solo, il dolore che va sentito e anche questo ha bisogno dell’altro che lo cagiona, o lo cura, o lo capisce. E non è poco. Buona lettura, scusare lo scrivente che si cimenta in terreni educati, perché in quelli di Fede non ha trovato posto.
Ma nonna cosa è il Natale? Tu mi hai detto che è nato un bambino, ma siamo tanti bambini?
Vedi, figlio bono me, ogni istante in questo mondo così grande nascono bambini, si fanno donne madri e così dietro nel tempo sin da quando questo creato è stato creato. Ma un giorno il creatore, innamorato della sua creatura, disse a se, e per sempre, ma perché mi è venuto fuori il dolore? Perché le mie creature che sanno di amore piangono e piangono anche per quell’amare?
Allora per dare risposte a queste domande si è fatto bimbo, ha voluto sentire il caldo ed il freddo, ha voluto guardare la Maddalena con la forza di ogni uomo alla donna per capire, ha voluto avere una madre perché anche lui senza madre era solo. Il creatore era perfetto ma così solo da non aver previsto il dolore nel suo creato e poi se lo è ritrovato. Si è fatto bimbo per la madre, per diventare ragazzo e sentire l’amore di un amore, per avere accanto amici increduli, poi fedeli e traditori, per capire uomini fatti e lui uomo si è fatto.
Capisci bene, figlio mio, che qui mi fermo. Sono donna, sono madre, ora madre di figlio di figlio che è madre di memoria, di ricordo, di cura al dolore che ti sarà non di conforto dopo di me. Ti dico, figlio bono me, che quel Dio si è sentito mancare questa madre e alla madre ha chiesto conforto.
Poi, quando nel mezzo della vita per la sua ingiustizia è stato giustiziato come il peggiore dei malfattori lui che ha “rubato” amore che non aveva creato e sentito dolore a cui non aveva neanche pensato, ha chiamato la madre e non ha capito il padre duro e presi dal suo divino disegno.
“Speme di tutti i tribolati” è la madre.
Ora hai capito cosa è il Natale: è un Dio che chiede la madre, è un bimbo che insegna il dolore all’Altissimo e gli dona il perdono.
Un bimbo con una madre è il Natale, ogni bimbo con sua madre e quel bimbo resta tale per sempre come i quadri umani di Caravaggio, neri di bellezza
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