DI LIDANO GRASSUCCI
Non sapevo cosa scriverci, ma ci doveva essere sotto il piatto dei tortellini in brodo.
Non amavo il brodo, i tortellini sì. Per me preparavano una versione meno brodosa possibile, ma a papà il brodo piaceva ed era brodo carico quello di Natale. Si vedevano nel piatto le isole di grasso.
Sotto quel ben di Dio andava la mia letterina, con la copertina con sopra glitter che facevano luce. In genere c’era un angelo, un bambinello, qualcosa di questo tempo.
Non avevo, e non ho una bella calligrafia, ma mi ci impegnavo. Con papà parlavo poco, che sarebbe meglio dire niente, in una casa dove il sentimento ci passava di rado, di sicuro non indugiava. Ma a Natale.
L’inizio era facile “Caro Papà”. Lo scrivevo con la lettera grande perché la circostanza era solenne e papà grande. Cosa gli avrei potuto mai dire.
Allora, come Snoopy che inizia il suo racconto “era una notte buia e tempestosa…” e lo ripete all’infinito.
Caro Papà… e non andavo oltre. Temevo di dire poco, temevo di dire troppo, temevo di non aver niente da dire. La letterina era anche una e non potevo sbagliare. Già, non potevo sbagliare eppure come bambo che si fa uomo stavo imparando proprio questo a sbagliare.
Papà era compagnone, loquace, ma non con me. Mio padre era brillante, ma con me no. Strane cose, mio padre non mi diceva nulla, ma era per me un urlo troppo forte. Mio padre sarebbe uscito e a casa si preparava, poi verso la mezza sarebbe tornato… cosa gli scrivo?
Mi ricordai allora un gesto, uno di quelli che non ti aspetti. Mio nonno, il papà di mio padre, aveva sempre in tasca le caramelle di menta e ad ogni incontro me ne fava una, se ci vedevamo tre volte erano tre caramelle, ma una ad una.
Mio padre un giorno poco prima di Natale rientrando a casa, mise le mani in tasca e mi regalò un bacio Perugina. La sua mano intorno al cioccolatino era la stessa di nonno alla caramella. Lo guardai, lui mi guardò, anche questa volta le parole fecero difetto. Tutto qui.
Vedevo quel gesto, avevo solo sul foglio un “Caro Papà…”, mi venne di getto “ti prometto che mangerò quel cioccolatino che mi hai dato e ti dico grazie e non ti prometto di essere più buono, perché tu non mi hai insegnato ad essere cattivo.”
Papà apri la lettera, facendo finta che non sarebbe stata banale, ma pensandola tale. Invece, si fermò, tornò con gli occhi indietro, poi avanti di nuovo.
Aveva gli occhi azzurro acquamarina, occhi da gatto. Occhi che avrei visto piangere solo mezzo secolo dopo, mi guardò, io ho pensato di aver sbagliato e che, come al solito, avrebbero segnato ciò in cui ero mancato e mia madre già era pronta. Lui invece non prese il cucchiaio per il brodo, ma girò la sedia e si abbassò verso me come un padre ad un figlio, respirò forte come a gonfiarsi di orgoglio. Fu tutto veloce, rapido, quasi impercettibile ai più. Nonno stava seduto vicino e parve approvare.
Nessuno poi, nessuno poi, mi aveva detto così tante cose in un tempo così corto senza le parole.
Forse per questo ancora scrivo.
Buon Natale, papà
DA: