DI ALBERTO BENZONI
Sappiamo tutti bene che la parola “poveri” appartiene, da sempre, alla Chiesa; mentre, da due secoli a questa parte, non fa parte del linguaggio della sinistra. Per la sua componente popolare e poi populista abbiamo avuto i “senza mutande” e, poi, i “senza camicia”. Nella versione storicamente consolidata, prima “proletari”, poi “operai e contadini”; e, infine, “Movimento operaio”. Tutta roba, inutile dirlo, oggi passata di moda.
Nel tempo presente, però, e così anche in Italia, la parola “poveri” è tornata d’attualità; magari mascherata nel termine più neutro: “popolo”. A dare una definizione comune di quell’insieme eterogeneo di persone che, per varie ragioni, sono, o comunque si sentono emarginate, se non ignorate dall’attuale sistema. Nelle diverse ma tra loro coincidenti vesti di giovani, operai o disoccupati, dotati di titoli di studio come di livelli di reddito medio-bassi o bassi e, infine, meridionali.
E qui, il sondaggio di Pagnoncelli (Corriere della Sera 31 dicembre) relativo al peso di queste categorie nelle intenzioni di voto per i 5 maggiori partiti è particolarmente illuminante.
Così l’elettorato del Pd è composto per il 19% da giovani e per il 30% da anziani; per il 20% da operai e disoccupati e per il 52% da pensionati, impiegati e insegnanti; per il 38% da titolari di licenza elementare e media per il 25% da laureati; per il 28% da percettori di redditi bassi o medio-bassi a fronte di un 48% di redditi alti o medio alti; e, infine, da un 16% di abitanti nel sud e nelle isole a fronte di un 30% di residenti nel nord-ovest
Per dirla in sintesi un elettorato più vecchio, più garantito, più ricco, più istruito, più “territorialmente favorito” sia rispetto alla composizione nazionale dell’elettorato sia e soprattutto, più o meno nettamente, rispetto agli elettori degli altri partiti.
Un elettorato di destra? Non necessariamente. Diciamo piuttosto, un elettorato che corrisponde esattamente alla natura del partito: categorie protette, più classi dirigenti illuminate e pensose del pubblico bene alla luce del politicamente corretto. Nulla che si richiami alla materialità dei bisogni e dei conflitti; e alla volgarità quotidiana della politica. Nulla, in sintesi, che sappia interessare le categorie sfavorite. Tutto che spinge nel senso di trasformare il Pd in una specie di pilastro e garante del sistema. Nulla che possa favorire sue eventuali ambizioni alternative.
Ora, sembra quanto meno difficile che questo stato di cose possa essere modificato nel lasso di tempo che ci separa dal prossimo appuntamento elettorale. Determinando così un vuoto di consenso che, tenendo anche conto del fenomeno massiccio del non voto, acquista dimensioni politicamente molto rilevanti.
Ci si può chiedere, a questo punto, verso chi siano andati questi voti. E, ancora, se ce ne fosse uno, quale sia il partito sovra rappresentato nel mondo dei poveri. Due interrogativi che, nel sondaggio, trovano una risposta abbastanza chiara.
In primo luogo si chiarisce definitivamente che il voto delle categorie sfavorite (operai compresi) favorisce nettamente lo schieramento di centrodestra almeno rispetto al Pd. Segno che l’egemonia del centro-destra nella rappresentazione della realtà italiana tocca argomenti cui il vecchio popolo di sinistra è particolarmente sensibile (e che non possono essere tacciati “tout court” di razzismo). Per altro verso, e questo è sorprendente, emerge che il M5S (dato per morto da tutti i commentatori politici) mantiene un livello di consensi tra il 15 e il 20%; e che, in questo consenso, è particolarmente elevata la presenza del popolo di riferimento della sinistra che fu che fu: giovani, operai, disoccupati, condizioni di disagio economico, meridionali.
Arrivati a questo punto rimangono aperti due grandi punti interrogativi. Il primo riguarda la capacità del M5S di vedere quello che c’è per lui all’uscita dal tunnel in cui si è cacciato da solo. Il secondo ha a che fare con lo stato di salute del rapporto con il Pd che, almeno per ora, non contempla iniziative e progetti comuni e che trova il suo patrocinio intellettuale in quella vera e propria calamità individuali che si chiama Goffredo Bettini. Due questioni in cui sperare è d’obbligo; ma nutrire fiducia molto meno.
Manca, infine, in questo ambiente, quella che dovrebbe esserne la componente essenziale; leggi una formazione e una cultura socialdemocratica. Ma, semplicemente perché quelli che dovrebbero esserne i protagonisti non hanno dato, almeno per ora, alcun segno di vita.