DI ANTONELLA PAVASILI
Ma davvero.
Mi ha impietosita, intristita, persino un po’ intenerita.
La disperata ricerca dello stupore, del guizzo di originalità, la corsa affannosa alla conferma di un genio che molto probabilmente genio non è e quindi non può essere confermato.
Chissà quanto ci ha studiato, pensato, ragionato.
La canzone, che peraltro a molti sarà sfuggita proprio perché distratti dallo spettacolo, è solo un dettaglio.
Resta lo sfoggio di muscoli e tatuaggi, i pantaloni di pelle che di trasgressivo non hanno proprio nulla a cominciare dalla costosissima griffe, le movenze caricaturali.
Ma non basta.
Ci vuole il gesto forte, l’oltraggio, lo sputo in faccia alla sensibilità di milioni di persone.
Il battesimo.
E lì sprofonda Achille Lauro.
Così in basso che sarà difficile risalire.
E in fondo dispiace un po’.
E a nulla servono improbabili e postume spiegazioni.
Resta la certezza che il genio non ha bisogno di eccessi.
Che il genio magari piange quando canta una canzone che ti afferra cuore e viscere.
Come ha pianto Damiano dei Maneskin.
Che si truccano, si vestono strani, si baciano, tirano fuori la lingua.
Ma ti inchiodano.
Davanti alla loro grandezza.
E mi spiace per Lauro.
Dovrebbe ritentare.
Magari evitando di imitare ottime performance di se stesso.
E magari ricordando che certe cose in Italia le si può ancora fare.
Altrove chissà come sarebbe finita.
Ritenta Lauro.
Sarai più fortunato.
Forse…