DI MARISA CELESTE CLARA CORAZZOL
Il suo discorso in Parlamento mi ha inchiodata davanti alla TV e ne ho registrato ogni virgola. Ogni punto. Ogni sua parola. Mi ha commossa. Tanto.
Ma nel suo discorso e nel riconoscere e confermare la “sacralità” delle Istituzioni ed in particolare quella del Parlamento – espressione della volontà popolare – ha messo fortemente l’accento sulla parola “Dignità”. E non a caso…
Perché quando per ben 18 volte l’ha citata , quella parola, per richiamare l’attenzione sulle miriadi di diritti violati (dalla sicurezza sul lavoro, al diritto delle donne di non essere più costrette a scegliere fra lavoro e maternità, al diritto dei cittadini di poter contare su una Giustizia equa e mai più di parte, alla scuola, allo sviluppo sociale, civile, economico e culturale) non stava parlando al mercante di fiori (con tutto il rispetto), ma si rivolgeva a persone che, a partire da quegli scranni, con in mano il potere legislativo, non hanno fatto alcunché per migliorare la condizione di vita del Paese nel suo insieme. Anzi, mentre le diseguaglianze e la povertà andavano crescendo, quei “signori” erano – sono ad oggi – in ben altre faccende affaccendati.
Insomma, il suo è stato un bel richiamo ai doveri di chi è chiamato a legiferare. Un grande, sonoro rimprovero.
E loro, chissà da quale “orecchio”, pensavano che li stesse “lodando”, al punto di applaudirlo per ben 55 volte.
Poveretti!