DI GIOACCHINO MUSUMECI
LA QUESTIONE CONTE/ DI MAIO ha monopolizzato il dibattito politico di questi giorni, amplificata dal secondo mandato del presidente Mattarella. I “ grandi elettori” o grandi patetici, a scelta, si sono spellati le mani nel tripudio di applausi sconclusionati prima, durante e dopo il discorso di insediamento del Presidente.
“ Mai più casi come Lorenzo Parelli ”, dice Mattarella. E per fortuna non sono arrivati i manganelli visto che i ragazzi nelle piazze dicono la stessa cosa da giorni e sappiamo com’è andata a finire.
Il lavorio per l’insediamento di una donna al colle naufraga, e Il ministro di Maio diventa l’epigono di Moro nella compagine liberale, i cui esponenti di punta ne certificano la maturità politica, e il Ministro ci crede.
Ma la goffa trasformazione del Big pentastellato o nemesi dei 5 Stelle, osannato come nuova stella nel logoro firmamento politico, è sintomo di una patologia cronicizzata che devasta soprattutto l’organo costituzionale più importante: il parlamento, ormai più un braccio della morte per la Democrazia.
Con Di Maio abbiamo assistito alla degenerazione dei principi che ne sostenevano la figura, il cui significato odierno è letteralmente opposto a quello originario. In realtà nessuna novità, il Ministro ha solo cambiato casacca ideologica con nonchalance, il che fa dubitare della sua lucidità quando diceva di voler cambiare il mondo ed è finita che quello radicalmente mutato è lui, ma in peggio.
Queste presidenziali rappresentano la sublimazione di interi partiti compressi dal peso dell’ignoranza di politici egoriferiti, lontanissimi dalla funzione pubblica o più precisamente rappresentativa, precipitata dalle mura dell’arroganza di casta.
Il dato significativo è che ciò accadeva e accade nonostante l’ingresso del Movimento nello scenario politico, retrocesso oggi al berlusconismo che per poco non piazzava al colle il proprio padre. Si delinea un dubbio atroce: siamo recuperabili?
Tanta inettitudine parlamentare è sfociata nel risultato più sgangherato possibile, la rielezione di Mattarella raccontata come svolta decisiva, l’ennesima. Pensavo fossero esaurite con Draghi.
Dunque con Mattarella al Colle, Draghi a Chigi – e Di Maio nell’olimpo degli statisti- il parlamento è derubricato alla mera definizione di termine nel dizionario, con buona pace della funzione legislativa.
E nessuno potrà sollevare questioni poiché proprio l’elezione di Mattarella sancisce che la maggioranza Draghi scarica ogni responsabilità sulle spalle dei capi di Governo e Stato.
Il dato sarebbe terrificante in condizioni normali ma, oltre la nostra rassegnazione, assume un rilievo relativo proprio per l’insignificanza della classe politica che ha confermato l’inabilità ben prima del Mattarella Bis, basti pensare al dibattito orripilante sul DDL Zan.
Possiamo tirare un sospiro di sollievo quindi, i partiti non incideranno nell’opera riformatrice di Draghi, Di Maio mistificherà i guasti del Governo e Mattarella, come un padre costretto da figli diversamente abili, non potrà godersi la vecchiaia.