L’ULTIMA LETTERA DI MIKHAIL GORBACIOV


DI ALBERTO BENZONI
Sono passati 25 anni – una generazione – dalla mia ultima presenza sulla scena politica. Quando, nel 1996, mi presentai alle elezioni presidenziali per raccogliere lo 0,2% dei suffragi.
Ho capito subito il senso di quel verdetto. Significava che l’azione di rinnovamento che avevo intrapreso e che aveva cambiato la faccia del mio paese e del mondo era percepita dai miei concittadini come una catastrofe di cui ero primo responsabile. E questo, badate, a metà degli anni novanta quando colui che avrebbe formalizzato questo concetto, Vladimir Putin, collaborava con il sindaco riformista di San Pietroburgo, Sobciak.
Da allora in poi sono rimasto silenzioso. Rispondendo al vuoto doloroso che sento intorno a me, dopo la scomparsa di mia moglie. Ma anche perché, pur non riconoscendomi nella Russia di oggi, considero insensata e pericolosa la russofobia isterica che monta, incontrastata, in occidente.
Oggi, però, sento il dovere di fare sentire la mia voce; nella convinzione, magari illusoria, che il richiamo agli eventi del passato possa evitare un nuovo ritorno alla guerra fredda.
Trent’anni fa, questa sembrava finita per sempre. E in modo pacifico e consensuale. Molti, allora, e soprattutto dopo, si contesero i meriti di averla vinta. Io vorrei ricordarvi i meriti di chi aveva contribuito a porvi fine.
Parlo di Solidarnosc (oggi diventata succursale del partito al potere), di Walesa e di Havel e di Carta 77, allora esaltati oggi dimenticati o addirittura vilipesi. Di quanti hanno lottato e sofferto per ridare dignità e libertà ai “senza potere”, ma anche dei dirigenti comunisti che capirono che un regime basato sulla repressione e sulla menzogna non poteva durare. E di una dirigenza sovietica, la mia, che negò qualsiasi appoggio a quanti intendevano rispondere con i vecchi metodi a una protesta, insieme pacifica e generalizzata.
E’ il ricordo di movimenti venuti alla ribalta in virtù degli accordi di Helsinki considerati dagli stati Uniti (e non solo) come la premessa per la “finlandizzazione” dell’Europa mentre il loro esito fu esattamente opposto. Accordi che, lo dico per inciso, facevano parte della grande strategia della socialdemocrazia occidentale.
Se intervengo oggi, però, non è solo per ricordare un mondo che non esiste più. Ma per esprimere il mio stupore di fronte a una polemica che non ha proprio ragione di esistere. Quella sulle garanzie (non ingresso nella Nato dei paesi del patto di Varsavia) che Putin afferma di essere state date e che gli Stati Uniti negano di avere mai offerte.
Posso affermare, per esperienza diretta, che le assicurazioni ci furono. Ma che furono puramente verbali e quindi assolutamente non vincolanti. E che, soprattutto ci accontentammo di quelle. Perché nessuno di noi poteva lontanamente immaginare che, a trent’anni data, ci saremmo trovati davanti a un insieme di stati nemici lungo tutte le nostre frontiere; e alla sbarra degli imputati per un reato di invasione presunta.
Il tutto, in un clima di isterismo, di minacce, di inutili allarmismi, di richieste inaccettabili, da una parte e dall’altra, che rischia ogni momento di sfuggire di mano; e che porterà, nel migliore dei casi, ad un ritorno a un clima guerra fredda il cui prezzo, pesantissimo sarebbe pagato non dai governanti ma dai governati.
E qui penso al popolo russo. E con forte senso di colpa. Il mio più grande errore fu quello di pensare che la rivoluzione pacifica che avevo contribuito ad avviare nell’allora Unione Sovietica fosse adeguatamente sostenuta dall’esterno; così da inserire, con piena dignità, il nostro paese nel nuovo ordine mondiale scaturito simbolicamente dalla caduta del Muro di Berlino. Questo era accaduto, del resto, alla Germania e al Giappone all’indomani di una guerra mondiale che avevano scatenato in nome dei loro “valori”; e che avevano perso. Per loro, un trattamento di favore: Perché non per noi ?
E invece no. Perché , secondo voi noi la “guerra” l’avevamo persa due volte: come “impero del male” (come siamo ridiventati oggi); e come sistema economico-sociale. Nel primo caso abbiamo avuto il ritorno in forze della Nato come baluardo contro nostre possibili aggressioni. Nel secondo, l’invasione del nostro paese da parte di una serie di esperti i cui consigli (privatizzazioni selvagge, decentramento del potere, riconoscimento a tutto campo del diritto di secessione) e i cui precetti (buttare alle ortiche e rinnegare settant’anni di storia, ivi, compresa, col tempo anche il contributo alla vittoria contro il nazifascismo) si sarebbero fatalmente tradotti in una generale reazione di rigetto.
Uso la poca voce che mi resta per dirvi un’ultima cosa. Contrariamente a quello che pensate, la Russia non vuole aggredire l’Europa; vuole allontanarsene sempre di più. Per solidificare definitivamente un sistema economico-sociale e una cultura che non mi piace e che considero esattamente opposta a quella che avevo sognato. Per voi, uno sbocco naturale per un paese che considerate semiasiatico. Per le giovani generazioni e per tante forze presenti nella nostra società una iattura da evitare ad ogni costo.
Evitate per favore di perorare la loro causa. Apparire come manovrati dall’esterno sarebbe, per loro, il bacio della morte. Ma cercate almeno di costruire un futuro di pace e di collaborazione tra le nazioni in cui abbiano lo spazio per fare valere le loro ragioni e le loro speranze.