FOIBE, OVVERO DEL BUON USO DELLA MEMORIA COLLETTIVA


DI ALBERTO BENZONI
L’istituzione del Giorno della memoria per ricordare la tragedia degli italiani istriani e dalmati avviene nel 2004.

Al governo c’è Silvio Berlusconi. un leader sceso in politica per sbarrare la strada del potere dei comunisti e al comunismo. E che intende rappresentare una destra totalmente ostracizzata ai tempi della prima repubblica e che ora vuole “rovesciare i suoi verdetti”.

Si comincia, allora, con l’obbiettivo di sostituire i fascisti (già sdoganati nel 1993) nella veste di “uomini neri” della nuova epoca: sostenendo che non era poi stato poi così male e che il confino politico era, in definitiva, una specie di vacanza; distribuendo a piene mani il Libro nero sui crimini del comunismo; posando a difensore delle libertà pubbliche e private sotto perenne attacco da parte dei comunisti e dei magistrati; e, infine, varando in Parlamento, in aggiunta al Giorno della Memoria dedicato alla Shoah, un’analoga ricorrenza a ricordo dei “caduti per la libertà” (così da porre sullo steso piano il nazifascismo il comunismo).

Ci sono però due formazioni politiche che hanno, già negli anni Novanta, sotterrato, nelle intenzioni definitivamente, l’ascia di guerra. E non hanno alcuna intenzione di riprenderla; e per fare piacere al fautore di nuove crociate.

Stiamo parlando di An e del suo leader, Gianfranco Fini; che ha riconosciuto, già negli anni Novanta, le superiori ragioni degli uomini del 25 aprile; in una con la definizione del fascismo come male e delle leggi razziali come male assoluto. E, per altro verso, dei dirigenti del Pds che contraccambiano riconoscendo la “buona fede” che aveva animato i “ragazzi di Salò”. Una concessione in cambio di un riconoscimento; rispetto a quello che sta accadendo in questi giorni uno scambio più che accettabile…

Stiamo parlando qui della cosiddetta “invenzione del passato”; leggi di una memoria collettiva costruita (o riesumata) dall’alto, in vista di questa o quella finalità politico-culturale. E, in questo caso, volta a costruire una memoria non solo comune ma condivisa. Comune in quanto porta a ricordare, insieme, un medesimo evento, magari mantenendo, in materia, punti di vista diversi; condivisa quando questo evento è interpretato allo stesso modo.

Nel caso specifico, i comunisti avevano bisogno di “fare ammenda” per l’atteggiamento tenuto durante la Resistenza e nei primissimi anni del dopoguerra. Un atteggiamento in linea di principio volto a conciliare le ragioni della patria di nascita, l’Italia, con quelle della patria di adozione, la Jugoslavia socialista, avrebbe, in linea di fatto (vedi Porzus, vedi atteggiamento sulla questione di Trieste, vedi definizione dei profughi come “fascisti, borghesi, speculatori” con le conseguenti pessime accoglienze nel corso del loro viaggio di ritorno in Italia) privilegiato le seconde rispetto alle prime.

Materiali allora, incandescenti. In un paese esposto al duplice rischio (fin troppo presente ai governi e alle forze politiche) di assistere a una rinascita del fascismo, come conseguenza di un trattato di pace dalle conseguenze pesanti e nel contempo di vedere bollati per sempre i comunisti come forza antinazionale. A salvarci il fatto che l’Italia non più considerata un paese nemico, non avesse subito un secondo processo di Norimberga né un trattato di pace percepito come punitivo. E, per altro verso, l’insieme di circostanze che avrebbero portato prima alla rottura di Stalin con Tito e poi al ritorno di Trieste all’Italia nella prima metà degli anni Cinquanta.

Da allora in poi, la progressiva riconciliazione dell’Italia con i suoi vecchi nemici si sarebbe basata sulla comune consapevolezza delle tragedie arrecate e vissute così come sull’impegno comune a promuoverne, insieme, l’oblio.

Una tela di fondo che sarà alla base dell’accordo che porterà alla istituzione bipartisan del Giorno della memoria. Per gli ex comunisti, la necessaria ammenda per il loro passato linciaggio, politico e morale, nei confronti di istriani e dalmati. Per gli ex fascisti, la presa d’atto che la loro pretesa di monopolizzare la loro causa a proprio uso e consumo si era rivelata sbagliata e perdente da ogni punto di vista; e che era venuta l’ora di costruire, intorno a loro, una solidarietà pacificata.

La vicenda poteva allora ritenersi conclusa. E invece no. Perché la razza degli ex fascisti, variamente nostalgici del passato e perciò anche consapevoli di non avere futuro, si è estinta. Per essere sostenuta da un’altra, per la quale il fascismo non è più un’eredità con la quale misurarsi ma una cultura politica da riscoprire e usare nel presente. Anche perché è tornata, magri passando dalla porta di servizio, a fare parte del “senso comune” dei nostri tempi.

A testimoniare di questa nuova realtà una serie di vicende e di prese di posizione. E, nel nostro caso, la polemica aperta sul “caso Montanari”; e le sue successive ricadute.

Il Nostro è quello che è. Un esponente di spicco della sinistra malmostosa. E che ha fatto l’errore di prendersela con il Giorno della Memoria anziché con il suo uso perverso.

Rimane il fatto che il Nostro è stato oggetto di un generale linciaggio mediatico. A un punto tale da far passare in sott’ordine le reazioni insieme sguaiate e sconsiderate venute da destra: dall’accusa alla sinistra di essere antinazionale ai volantini con il Nemico, in questo caso jugoslavo, con la faccia bestiale e l’arma sguainata; dal totale silenzio sui crimini commessi dai fascisti alla fine della prima guerra mondiale e dal nostro esercito durante l’occupazione della Slovenia. Sino alla identificazione della sorte subita dagli italiani istriani e dalmati con quella degli ebrei e in documento esplicativo del ministero dell’Istruzione.

Dopo le proteste della comunità ebraica, sono venute scuse e dissociazioni. Mentre Mattarella e il presidente sloveno riaffermavano solennemente che il richiamo collettivo a quelle lontane vicende conteneva in sé l’impegno a non riviverle mai più.

Rimane, in conclusione, il fatto che il vaso di Pandora si è riaperto. E che non sarà facile richiuderlo.