DI GIANCARLO SELMI
Che ci azzecca Marcucci con la parola “sinistra”? Neanche a ciò che la parola evoca, sarebbe troppo, ma mantenendo basso il tiro, proprio con la parola.
Il tipo va a sinistra solo per sorpassare in autostrada, però pretende essere un autorevole (peraltro) esponente di un partito che affonda le sue origini a sinistra. E, si badi bene, più a sinistra che nell’area liberal-democratica a cui il Marcucci, orgogliosamente, si richiama.
Ma un mistero ancora irrisolto è quello di come abbiano fatto democristiani di destra, lobbisti di questo o quel potentato economico, colonizzare il partito che nacque sulle ceneri del partito che fu di Togliatti, Longo e Berlinguer.
Ieri abbiamo letto un’intervista a “Il Tempo” di Marcucci che farebbe invidia a Toti. Poi abbiamo sentito Letta che rilanciava l’alleanza con il Movimento 5 Stelle, con l’attitudine tipica dei democristiani, del voler tenere un piede in tutte le scarpe possibili. Inventeranno le “convergenze triparallele” che triplicheranno le vecchie, che furono semplicemente parallele.
L’impressione che si ha, sentendo Marcucci e poi Letta, è quella che facciano parte di due partiti diversi. Ops, di due correnti della vecchia DC. Una a destra e l’altra a sinistra ma che sempre DC si tratti. La domanda, invece, che sorge spontanea, è quella che chiede in cosa possa essere in linea il nostro sentire, quello di Conte, quello del Movimento, con quello di questi dinosauri sopravvissuti all’estinzione del partito di Gava ed Andreotti. Domanda con una difficilissima risposta.
Stiliamo un programma chiaro ed intellegibile e che chi ci ama, o meglio, ama quel programma, ci segua, lo condivida e lo firmi. È l’unica maniera che ci può spingere a fidarci.
Ripeto: meglio soli che male accompagnati.