VLADIMIR IL PAZZO

DI MARIO PIAZZA

 

Ha sfiorato il parossismo ieri la produzione di aggettivi da affibbiare a Vladimir Putin. Vigliacco, nazista, criminale, spietato, bugiardo, mitomane… Pazzo.
Chiamiamo pazzo chi fa cose che non riusciamo a comprendere, e quando si tratta di comportamenti circoscritti nel tempo addolciamo la definizione mettendoci davanti l’articolo indeterminativo “un”: Sei un pazzo a licenziarti… quella spesa è una pazzìa…”.
E’ di tutta evidenza che il termine nella sua accezione scientifica di infermità o malattia mentale riferito a un personaggio come Putin non ha alcun senso, nato povero nei sobborghi di Leningrado, laureato in legge a 23 anni, alto ufficiale e infine presidente “sine die” di una delle tre superpotenze mondiali. Se fosse stato davvero pazzo l’Unione Sovietica della sua giovinezza lo avrebbe spedito a coltivare patate o a picconare carbone.
Rimane per esclusione l’altra possibilità, quella che siamo noi a non capire il perché delle sue azioni. Eppure il modo di pensare di Putin non è così diverso da quello di tanti di noi, perlomeno di quelli che non sono cresciuti tra un collegio esclusivo e una vacanza a Cortina o al Forte… “chi mena prima mena dù vorte”. Lui lo ha detto con l’eleganza che si addice a un capo di stato alle olimpiadi di Soci nel 2015 «La strada a Leningrado, cinquant’anni fa, mi ha insegnato una lezione: se la rissa è inevitabile, colpisci per primo.»
Sempre le strade di Leningrado gli hanno ispirato un’altra metafora che ama raccontare quando ne ha l’occasione, di quando da ragazzo con i suoi amici andava a caccia di topi per ammazzare il tempo. Racconta Putin che fu allora che imparò la differenza tra uno stupido topo che fugge disperato e un ratto che costretto in un angolo dai suoi assalitori si gira e con la forza della disperazione li aggredisce a morsi.
Chiamiamolo come ci pare, ma secondo me Vladimir Putin non è affatto pazzo.