DI MARIO PIAZZA
Quando con la crisi cubana si sfiorò la guerra atomica non avevo ancora 12 anni. La televisione era in bianco e nero ma le immagini di Hiroshima e dei test che allora si susseguivano nel Pacifico mi avevano riempito di terrore. La scuola era cominciata da poco, ero in prima media e dalla finestra di tanto in tanto scrutavo la periferia milanese temendo di veder sbocciare all’orizzonte il fungo nucleare.
Ci ho messo una vita intera per convincermi che quella fosse soltanto una minaccia teorica, roba da usare come soggetto cinematografico o da esibire nelle parate militari, roba del tutto inutilizzabile non diversa dai pacchi di cotone che i maschioni si infilano nelle mutande.
E invece no.
Ci volevano una specie di orso feroce e una dozzina di imbecilli che per trent’anni si sono divertiti a molestarlo per riproporre lo stesso incubo di sessant’anni fa.
Che dio se c’è li stramaledica tutti per l’eternità, perché ai nostri figli e nipoti questa ansia surreale potevamo davvero risparmiarla.
Fino a ieri un conflitto nucleare aveva la stessa consistenza di un’invasione di extraterrestri o del giorno del giudizio, da oggi è un pericolo reale e tale rimarrà nelle nostre menti almeno fino a quando chi ha osato evocarlo non sarà spazzato via per sempre.
A prescindere da tutto il resto spero che quel giorno arrivi il più presto possibile.