DI MARINO BARTOLETTI
Chissà cosa penserebbe di questo mondo a rotoli Pier Paolo Pasolini che oggi compirebbe cento anni? Lui, uomo di dialogo e di pace, che aveva perso l’affetto più caro (suo fratello partigiano, ucciso da altri partigiani), lui che aveva immolato la sua stessa vita a soli 53 anni in circostanze mai chiarite, ma comunque in seguito a una violenza disumana, prima percosso a sangue e poi schiacciato più volte dalle ruote di una macchina.
Ci potrebbero soccorrere i suoi scritti, le sue opere, l’immensa e vastissima eredità culturale che ci ha lasciato. (anche se non esiste e non potrà mai esistere un suo “erede”, essendo un esemplare assolutamente unico). Soprattutto il suo senso della libertà, fertilizzato anche da provocazioni che non sempre i tempi consentirono di capire.
Chissà, forse sarebbe spiazzante come lo fu dopo i fatti di Valle Giulia; o forse scaverebbe nella sua onesta interpretazione del comunismo (spesso ritenuta eretica dai sui stessi compagni di viaggio); forse si affiderebbe alla sua pietà religiosa che ha saputo ( neanche tanto laicamente) rappresentare più di tanti addetti ai lavori.
Ha alternato analisi rivedibili ad autentici dogmi: “L’Italia vive un processo di adattamento alla propria stessa degradazione”.
Qualcuno negli ultimi tempi lo ha assimilato a Lucio Dalla che è stato visto un po’ come la sua “versione pop”. Forse per la loro bolognesità (nel caso di Pier Paolo bilanciata da una più composta friulanità), forse per l’indubbia poliedricità, forse per lo stesso attaccamento alle rispettive madri, forse per la loro inconfutabile libertà di pensiero. È un paragone interessante, ma audace. Ciò che Pasolini ha volutamente cavalcato come “scandalo”, per Lucio è sempre stata soprattutto discrezione.
Non posso e non voglio confondere gusti con verità. Personalmente, parlando solo di cinema, ho amato moltissimo la sua produzione in bianco e nero, culminata col rivoluzionario “Uccellacci e uccellini”. Un po’ meno tutte le ultime trilogie a colori dove non sono sicuro che non abbia strizzato l’occhio alla cassetta.
Amava il calcio. Si riteneva un’ottima ala sinistra: forse mescolando fantasiosamente la sua ideologia e la sua gioia di volare. Nel pallone vedeva persino poesia. Una volta disse: “Il poeta italiano dell’anno non può che essere il capocannoniere del campionato”.
Merita, comunque lo si giudichi, di aver trovato la pace.