BENZINA, NAFTA, GAS E PANE: STOP AL MERCATO NERO

DI RAFFAELE VESCERA

 

Il ministro Cingolani ha definito l’aumento del prezzo del carburante una colossale truffa.
Certo che lo è, di più: è “mercato nero” di bellica memoria, tornato in vita per una guerra che mondiale non è. Con il barile del petrolio, il cosiddetto brent, salito da 90 a 100 dollari, circa il 12%, portare i prezzi di benzina e diesel ben oltre i due euro al litro, con un aumento di quasi il 30%, è ancor di più una rapina, poiché con lo stesso prezzo del brent, rialzato anni fa da 90 a 100 dollari, benzina e diesel viaggiavano intorno all’euro e settanta al litro.
Stesso discorso vale per il gas e per il pane, con prezzi raddoppiati, seppure per ragioni diverse.
Aumenti che colpiscono ancor di più i cittadini residenti al Sud, dove lo Stato italiano fa in modo che il reddito sia dimezzato per via dell’alta disoccupazione e i trasporti pubblici, a partire dalle ferrovie, siano negati.
E allora perché tali ingiustificati aumenti dei carburanti, senza dire del conseguente raddoppio del prezzo delle bollette di luce e gas? Perché tale truffa ai danni di chi lavora e si suda la vita? Non è forse pura speculazione applicare tali prezzacci con la conseguenza di far alzare i prezzi di tutte le merci, provocando scioperi di autotrasportatori che non ce la fanno a sostenere i costi e l’aumento dei prezzi nei supermercati, presi d’assalto dalle persone che temono rincari ancora maggiori?
Chi ci guadagna e chi sono gli speculatori di tale mercato nero?
Certamente le multinazionali del petrolio che, approfittando della crisi provocata dall’invasione russa dell’Ucraina, in mancanza di una presenza regolatrice dello Stato fanno quanto gli pare: è il neoliberismo perfetto bellezza.
Lo stesso ministro Cingolani dovrebbe ricordare che le multinazionali italiane dell’energia, quali Eni, Enel e Snam, un tempo dello Stato e tuttora a forte partecipazione pubblica sono tra queste multinazionali, e lo stesso ministro insieme agli altri, Draghi compreso, dovrebbero ricordare che ben oltre la metà del prezzo dei carburanti è composta da “accise”, anche nel senso che gli “accisi” siamo noi da tante tasse, alcune delle quali risalenti addirittura ad eventi catastrofici di un secolo fa e lì rimaste a toglier soldi al portafogli del ricco che se ne impipa, e del povero che ne soffre.
Perché Draghi finge di non sapere che l’Eni (per il 30% statale) ha avuto decine di miliardi di extraprofitto mentre lo stato, così come aumentano i prezzi incassa molto di più in percentuale, con accise e Iva, determinando crisi dell’industria e del commercio e decrescita dell’economia generale? Occorre forse una rivolta morale del Paese, a partire dal Sud più colpito, per ricordaglielo?
Ma ancor di più gli va ricordato che il neoliberismo selvaggio da lui predicato, che porta a dismisura il divario tra ricchezza e povertà creando supermiliardari e nuovi schiavi, è la causa originaria di tale ingiustizia sociale di medievale memoria.
E mentre Germania e Francia riducono per legge il prezzo dei carburanti di una ventina di centesimi, seppur ancora pochi, Draghi che fa?