DI PIERLUIGI FERDINANDO PENNATI
Ci ho pensato molto in questi giorni, specie quando mi danno del filorusso o peggio del filo-Putin, ma il problema non è essere filoquesto o filoquello, ma filoumani: quando si dice resistere a tutti i costi, di quali costi parliamo?
Nel caso ucraino non certo di denaro, l’Ucraina, per sua fortuna, poggia le fondamenta delle case su giacimenti di materie preziose e galleggia su un mare di petrolio e gas potendo contare su tutto il contante che le serve ed anche di più, quindi, restano solo le vite umane, quelle stesse vite umane citate nelle videochiamate del presidente Zelensky che mostra donne, bambini e malati che afferma essere massacrati dai russi e che per poter difendere chiede al resto del mondo armi sempre più potenti e persino, se del caso, la guerra nucleare contro l’invasore, ben sapendo che le guerre nucleari non hanno confini, affliggono o contaminano tutti.
Anche se sembra coerente che per difendersi da un aggressore servono armi almeno alla sua altezza, questo, forse, valeva fino al medioevo e poco oltre nella storia, da molto tempo a questa parte le guerre non conquistano più grandi territori e ridisegnano a malapena i confini delle nazioni già esistenti, se così fosse la Germania non esisterebbe più da quasi un secolo, avendone spartito la terra tra i vincitori, e non è tutto, esiste persino un caso ancora più eclatante che dimostra che la resa può essere addirittura una vittoria: il Giappone.
Senza scendere nel merito delle cause della guerra, l’imperatore giapponese Hirohito, fino a quando si era trattato di contrapporre gli eserciti, aveva combattuto e lo aveva fatto fino all’ultimo soldato con i kamikaze che ne sono l’esempio estremo, giovani soldati volontari addestrati a condurre a malapena un velivolo, tanto non serviva altro che puntare le navi nemiche ed affondarle sacrificando la propria vita, ma quando si è trattato di difendere la popolazione inerme dallo sterminio, dopo le bombe di Hiroshima e Nagasaki, non ebbe alcun dubbio: il numero di vite umane che vale la dignità di una nazione è pari a zero.
Ovvero, se vi è grande dignità nel combattere e morire per la propria nazione non vi è alcuna dignità nel sacrificare il proprio popolo innocente, nemmeno per una singola vita umana e, si sa, il Giappone è da sempre un esempio di dignità per il mondo intero.
La resa incondizionata fu la risposta ad una violenza inaudita ed ingiustificata come quella di ben due bombe atomiche su bambini, donne e malati.
A questo punto una pausa è d’obbligo, perché su questo credo si debba davvero riflettere: dopo la resa, va ripetuto incondizionata, la ricostruzione ha portato il Giappone ad essere oggi non solo completamente indipendente e democratico, ma persino una potenza economica mondiale di tutto rispetto pur non avendo petrolio e grandi risorse nel sottosuolo, eppure avendo formalmente perso una guerra atomica, l’unica per il momento nella nostra storia, proprio da quella sconfitta, come l’araba fenice, è risorta più forte e grande di prima e senza perdere minimamente le proprie radici e tradizioni, mantenendo persino l’imperatore come simbolo della propria storia ed unità, quindi mi chiedo: perché oggi dovrebbe essere diverso in Ucraina?
Forse la cosiddetta “comunità internazionale” è oggi più debole di un secolo fa?
Io credo fermamente che oggi la pace sia una risposta più potente della più potente delle armi e delle guerre e la dimostrazione è proprio nella storia moderna, arrendersi significa difendere il proprio popolo dal morire in una guerra forse persino inutile, resistere a tutti i costi come sta succedendo significa sacrificarlo cercando persino di trascinare con se il mondo intero.
Lo ripeto ancora: “qualche volta per vincere si deve prima perdere”, la resa e la sconfitta dell’Ucraina di oggi sarà sicuramente la vittoria del suo popolo di domani, mentre la resistenza ad ogni costo sarà la sconfitta del genere umano, anche se non ci sarà l’estinzione paventata dalle grandi menti.
Questo è per me restare umani, questione di priorità, se la guerra è più importante della vita abbiamo già perso tutti, ma se la vita è più importante allora non deve essere usata come scudo per far tuonare le armi, ma devono essere deposte le armi per poterla proteggere.
I processi si faranno dopo, in tempo di pace.
Se vuoi la pace fai la pace.
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Nella foto il ministro degli esteri giapponese Mamoru Shigemitsu firma l’Atto di resa giapponese il 2 settembre 1945 a bordo della USS Missouri di fronte al generale Richard K. Sutherland.
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Umberto Siniscalchi e altri 4
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