DI MARIO PIAZZA
Quando si è costretti o si desidera riversare sugli ascoltatori un migliaio di parole al minuto per varie ore al giorno capita che gli errori, le ripetizioni e le sciocchezze ne costituiscano una buona parte. E’ come cucinare una pietanza, per quanto bravi si possa essere la qualità sarà sempre inversamente proporzionale alla quantità di cibo prodotto.
Comprensibile e inevitabile quindi che, indipendentemente dai nostri gusti, giornalisti come Corrado Augias appaiano come chef stellati e altri come Enrico Mentana si siano scelti il ruolo di cucinieri da caserma.
Non ho nulla contro il cibo abbondante e cucinato alla buona, lo mangio spesso senza fare troppo lo schizzinoso fino a quando non ci trovo dentro, mescolato a carni stoppose e pesci sospetti, un sasso o un pezzo di vetro.
Nel piatto che Mentana mi ha servito ieri pomeriggio c’era un macigno, scivolato nel pentolone quando ha detto che le differenze tra chi fugge dall’Ucraina per approdare in Polonia e chi sbarca in Sicilia sono talmente OVVIE da non necessitare di una spiegazione.
Saranno ovvie per lui e per quelli come lui.
Per me invece una donna terrorizzata, un bambino in lacrime o un uomo disperato sono identici sempre e non mi importa un accidente che essi provengano dall’Ucraina, dall’Afghanistan, dal Sudan o da Paperopoli. E non c’è nessuna ovvietà nell’accoglierne alcuni a braccia aperte e col cuore in mano e lasciare gli altri allo sbando o peggio pagare profumatamente un Erdogan o un Sarraj perchè ce li tengano alla larga.
Sono le migliaia di frasi così buttate là con disinvoltura per decenni da un esercito di Mentana che come un tarlo hanno scavato nelle nostre coscienze, siamo diventati vecchi comodini dove ormai ci sono più buchi che legno.