MAESTRUZZA BEDDA, DUE PAROLINE VOGLIO SCRIVERGLIELE

DI ANTONELLA PAVASILI

 

Indecisa se scrivere nella mia lingua madre o in italiano, alla fine ho optato per l’italiano, così da essere certa che lei le comprenda.
Perché per comprendere il siciliano, lingua conosciutissima e compresa ovunque, grazie a certi signori che non sto nemmeno a ricordarle (sarebbe probabilmente fatica sprecata), non basta esserci nati in Sicilia, occorre altro.
Occorrono, soprattutto, la capacità e il coraggio di rompere le gabbie del pregiudizio, di aprirsi ad una cultura ricca di sfaccettature ed eccessi, di teatro e dramma, di lacrime e risa, di rabbia e quiete.
E lei, evidentemente, non possiede queste qualità.
Pazienza, sopporteremo anche questa iattura.
Però, “figghiuzza bedda”, è troppo difficile tollerare in silenzio la rozzezza dell’equazione da lei propugnata in una trasmissione televisiva di grande successo quale Amici!
In estrema sintesi, secondo il suo genio, il giovane Nunzio, concorrente siciliano, non parlerebbe bene l’italiano perché, appunto, siciliano.
E quindi, per estensione, tutti i siciliani partiremmo da questo gap.
Forse, in un impeto di generosità, lei sarebbe anche disposta ad ammettere che qualche rara eccezione vi sia a queste latitudini.
Ma solo, appunto, in via eccezionale.
Ecco “Maestruzza bedda”, io non me lo piglio il disturbo di ricordarle quanta cultura sia partita da questo triangolo accucciato nel Mediterraneo.
Temo addirittura che certi nomi lei non li abbia mai nemmeno sentiti pronunciare, sennò non si spiega.
Però su un punto non recedo e una richiesta gliela porgo.
Torni sull’argomento e chieda scusa.
No, no.
Non chieda scusa per ciò che ha detto al giovane siciliano ma per la stucchevole, inutile e ipocrita affermazione successiva, pronunciata dopo la reprimenda della De Filippi.
“Ma io amo la Sicilia!”
Ma che fa lei, “babbìa”?
Per chi ci ha preso?
Pensa davvero che siamo dei minchioni disposti ad accettare la sua graziosa elargizione?
No, davvero.
Non ce ne facciamo niente dell’amore a perdere di una poveretta imbrigliata nelle cinte del pregiudizio.
Se lo tenga stretto il suo amore, ne facciamo volentieri a meno.
Chieda scusa e si allontani.
“Leggiu, leggiu, a passu i danza”.
Sulle note del marranzano.
Con la sua abile maestria.
Non sentiremo la sua mancanza.
Quaggiù ce la caveremo bene anche senza il suo amore.
Tra un errore di grammatica e un bel tramonto.
Mentre i mandorli esplodono.
E tutti cantiamo…
“…ciuri ciuri, ciuri di tuttu l’annu..”,
Pardon, Maestruzza bedda, mi sono lasciata prendere la mano e sto scivolando pericolosamente sulla mia lingua.
La chiudo qua.
Saluti, tanti.
Abbracci, pochi.
“Baciuzzi, nenti i nenti”