E SE SI COMPORTA MALE, LE DIA PURE UN CEFFONE…COSÌ IMPARA…

DI ANTONELLA PAVASILI

 

Un classico dei genitori di una certa generazione.
La generazione dei bambini che andavano a scuola col grembiule, il fiocco e lo stemma.
Quei bambini che si alzavano in piedi appena entrava la maestra, recitavano la preghiera e si rivolgevano all’insegnante dandole del lei.
La generazione dei genitori che si mortificavano e si vergognavano se un insegnante riferiva di un comportamento scorretto del figlio, di una parolaccia, di un gestaccio.
Quei genitori che spesso la scuola non avevano potuto frequentarla, per la guerra, la fame, la povertà.
Quei genitori che si spaccavano la schiena per mantenere un figlio a scuola, per farlo studiare, per garantirgli un futuro e una vita migliore della loro.
Genitori per i quali la scuola era il passaporto per salire i gradini della scala sociale, per realizzarsi.
Genitori che gli insegnanti li rispettavano delegando loro l’istruzione.
L’istruzione, non l’educazione.
Perché a quella ci pensavano loro.
Magari con uno scappellotto o una punizione.
Ci pensavano loro a insegnare ai figli l’educazione e il rispetto verso le persone e le cose.
Genitori che mai si sarebbero sognati di denunciare una maestra – poi condannata per abuso dei mezzi di correzione- che rimprovera quattro mocciosi che imbrattano di cacca i muri del bagno della scuola e poi tornano a casa piagnucolando.
Genitori che avrebbero chiesto cosa fosse successo.
E che, molto probabilmente, avrebbero messo in punizione i figli.
Genitori di altra pasta.
Capaci di educare figli divenuti adulti di altra pasta.
E non bulletti schizzati e a volte violenti.
Perché, come diceva sempre mio papà, “u lignu si ndrizza quannu è tenniru…”
E mio papà non sbagliava mai.
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