DI ANTONELLA PAVASILI
Le mie Rose, mia mamma e mia zia, oggi.
E le signore del vicinato.
“Devo sistemare i sepolcri, domani è giovedì santo e dobbiamo fare le cuddure…”
Poche parole ed entri nella Pasqua siciliana, nei nostri riti, nelle nostre usanze, in questo nostro strano modo di vivere la religione.
Un misto di fede autentica e incrollabili tradizioni.
Ci sono i sepolcri innanzitutto.
Che sono i germogli di lenticchie o di ceci o di grano nella ciotola, scelta fra le più belle di quelle che abbiamo in casa.
Il primo giorno di quaresima si prendono le ciotole più belle, sul fondo si mette un po’ di cotone imbevuto d’acqua e sopra si appoggiano le lenticchie, o i ceci o il grano.
La ciotola poi si ripone al buio, di solito in uno sportello del salone, la stanza più curata, quella in cui si entra solo nelle occasioni speciali “pi fari figura” o per fare le pulizie.
E ogni giorno, per tutti i giorni fino al giovedì santo, si aggiunge un po’ d’acqua nella ciotola.
E le lenticchie o i ceci o il grano germogliano, e crescono, crescono incredibilmente.
In quello sportello buio, al fresco.
I chicchi si schiudono e vedi le foglioline spuntare e diventare ogni giorno più alte, di un tenue color verde chiaro.
Tutti i giorni, dal primo giorno di quaresima fino al giovedì santo quando finalmente si escono e si ammirano, con un misto di stupore e meraviglia.
E si portano in chiesa “o Signuruzzu, chi dumani mori supra a cruci pi nui…”
E le chiese siciliane sono un tripudio di “sepolcri”, di ciotole lucidate e di germogli rigogliosi.
Il mistero del buio che diventa vita, luce.
Il senso stesso della vita e della morte.
E poi ci sono le cuddure cu l’ova, che si fanno il giovedì santo dopo aver donato i “sepolcri” o Signuruzzu.
Mia mamma, e le zie, e le vicine al mattino presto fanno bollire le uova in quantità variabili.
Più grande è la famiglia, più uova bisogna bollire.
E se in famiglia c’è una coppia di fidanzati bisogna bollirne di più, perché “a cuddura di ziti” dev’essere speciale.
Per foggia, decorazioni, dimensioni e numero di uova.
A cuddura cu l’ova è il nostro dolce di pasquetta, più che di Pasqua.
E’ un impasto simile al biscotto che si cuoce in forno con le uova sode dentro.
La nostra cuddura ha un sapore e un profumo speciali.
Sempre, anche quando magari non riesce benissimo.
La assaggi e assapori il senso stesso della fede, della partecipazione alla resurrezione di Cristo.
La annusi e percepisci l’odore della gioia, della rinascita.
A cuddura cu l’ova è il segno della Pasqua nella sua dimensione più umana, fatta di convivialità, condivisione vera, reale.
A cuddura cu l’ova si consuma tutti insieme, il lunedì di Pasqua.
Che se è bel tempo si trascorre all’aperto, sotto gli alberi.
Tra cibo, vino, piselli freschi da sgusciare, salame fatto in casa da affettare, fuochi accesi per cuocere la salsiccia.
E l’immancabile palla per giocare a pallavolo.
Tutti, anche quelli più imbranati.
Aspettando, se capita la fortuna di assistervi, alla consegna da cuddura di ziti.
In un cerimoniale autentico, genuino, commovente.
E’ un dono da zita o zitu.
E si ci mettono dentro quante più uova possibili.
In quel nostro modo un po’ teatrale per dirci “ti amo, ti amo tantissimo…e in questa cuddura ci ho messo tutte le uova che potevo…”
E intorno i bambini guardano curiosi, maliziosi e sognanti.
Aspettando quel bacio che si scambiano i ziti, dopo il dono della cuddura.
Che poi si spezza e si mangia tutti insieme.
Perché la gioia bisogna condividerla, che da soli non ha senso.
Perché u Signuruzzu, chi muriu pi nui, vuole vederci gioire, sorridere e amarci.
Mentre accoglie i “sepolcri” di mia mamma, e della zia Rosa e di tutte le donne siciliane che si preparano al dolore del venerdì santo quando saranno tutte “matri addulurati”.
Testimoni di fede e amore.
Quell’amore assoluto, che prende il cuore e le viscere, fatto di un dolore che strazia e sanguina.
Ma che non perde mai la speranza della resurrezione.
L’amuri da matri addulurata…
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