DI MARINO BARTOLETTI
A quest’ora di quel maledetto 22 aprile di cinque anni fa ormai lo sapevamo tutti da qualche ora. E tutti stavamo piangendo Michele Scarponi, scansionando – increduli – un mare di ricordi. Ricordi dolci, belli, spesso allegri, immancabilmente speziati dal sorriso.
Il suo sorriso. Ce l’aveva portato via quello che gli uomini chiamano un “incidente stradale”. Se n’era andato a un passo da casa mentre stava facendo il suo lavoro: sulla sua bici.
Si era alzato per tempo per poter poi dedicare la giornata ai suoi gemellini e alla sua famiglia, prima di partire verso la Sicilia per rifinire la preparazione in vista del giro d’Italia che avrebbe corso da capitano.
Oggi al Tour Des Alpes, che aveva visto la sua ultima vittoria proprio pochi giorni prima di morire, è stata consegnata una maglia speciale con l’aquila sul petto al corridore più generoso e combattivo (nella fattispecie “Natalino” Tesfatsion, un promettentissimo ventiduenne eritreo).
È bello, è giusto: ma nulla basterà mai per restituirci il beneficio del suo sorriso.
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