DI LIDANO GRASSUCCI
L’auto era una Bugatti, verde ferma davanti il portone. Lei la guardava: sinuosa la Bugatti quanto armoniosa lei. Si sarebbero incontrate lei e l’auto per un viaggio, fantastico. L’auto era disegnata dal vento, lei dalle carezze che decise l’amore in un tempo in cui l’eleganza era seta, la seta era aria e ogni tessuto aveva telaio e mani, mani. Mani che ora cercava nei tessuti che avrebbero vestito lei nella velocità della macchina.
Gabriele D’Annunzio diceva che “l’automobile è femmina” e quella Bugatti era così femmina che stava in lei come un guanto. La seta addosso davanti lo specchio, un giro di rossetto, un berretto da correre e…
Entro in auto, l’auto in lei. E corsero due “femmine”, due dame, due angeli che sfidavano il vento. La Bugatti cantava, lei teneva il volante, e il vento cresceva: impeto su impeto.
Corsa di lei, corsa dell’auto verde. Il foulard le faceva le ali, vento di Provenza, vento di lavanda. Libera padrona del vento. Un uomo la vide passare girò il collo così rapido per quel rapido miraggio di bellezza. Da allora restò con il collo bloccato su un sogno in rapido passaggio. Si sentirono dive, si sentirono dense e nelle pelle il fresco dell’aria in corsa le faceva sentire ogni parte del suo vivere, ogni lembo di pelle e il collo era fresco come pronto ad un bacio rubato e il seno ardito a vincere un primato. Stavano indossando la velocità, stavano vestendo il vento e stavano facendo l’amore con la loro consapevolezza.
Una donna, una Bugatti contro tutto il vento del mondo, tutti i venti del mondo. La bellezza va di corsa, la corsa è bellezza.
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Tamara Lempika, Self Portrait in the Green Bugatti, 1925
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