DI VIRGINIA MURRU
Il gruppo Eni, secondo l’Agenzia Bloomberg, che si riferisce a fonti Gazprom, si accingerebbe ad aprire conti in rubli presso Gazprombank, per assicurarsi le forniture di gas e non incorrere in interruzioni così come nei giorni scorsi è accaduto ad altri due Paesi membri dell’Ue. Al momento Eni non ha espresso commenti al riguardo, non ci sono riferimenti nemmeno nel sito ufficiale del gruppo.
Secondo le notizie diffuse ieri sempre da Bloomberg, sarebbero al momento 4 gli Stati europei che hanno aderito alle richieste di saldare in rubli, ma altri 10 pare siano pronti a seguirli. In realtà dietro queste scelte non vi sono deroghe rispetto alle strategie di Bruxelles, in risposta alle ritorsioni di Mosca, l’ok sull’apertura dei conti presso Gazprombank infatti è stato concesso, non l’autorizzazione a saldare in rubli.
Al momento Eni pare abbia solo aperto i conti presso la terza banca più importante della Russia, gli sviluppi si conosceranno a breve, dato che la prossima scadenza di pagamento è prevista per la metà del prossimo mese.
Ieri la presidente della Commissione Europea riguardo alla decisione unilaterale del Cremlino, che ha esatto le transazioni in rubli, ha dichiarato:
“L’annuncio di Gazprom sull’interruzione unilaterale della fornitura di gas ad alcuni Stati membri dell’UE è un’ulteriore provocazione da parte del Cremlino. Tuttavia l’utilizzo dei combustibili fossili come arma di ricatto da parte di Mosca non sorprende, anzi, si tratta di qualcosa a cui la Commissione europea si prepara da tempo in stretta collaborazione e solidarietà con gli Stati membri e i partner internazionali. La nostra risposta sarà immediata, unita e coordinata.”
Sembra non ci sia via alternativa per le transazioni sulle forniture di gas che ancora viene erogato in Italia (e ovunque nell’Ue) per il fabbisogno interno, nonostante i provvedimenti volti a ridurre la dipendenza energetica dalla Russia, e gli accordi con altri paesi fornitori. Esiste ancora un gap da colmare per il raggiungimento della totale indipendenza dal gas naturale della Russia: l’Italia importava circa il 40% del suo fabbisogno.
Il secondo fornitore italiano è l’Algeria, con 22,6 miliardi di metri cubi diretti verso il Paese nel 2021 (intorno al 30% del fabbisogno annuale), ma se ne ‘bruciano’ all’anno circa 80 bcm (in miliardi di metri cubi). Dopo l’accordo firmato con Draghi alcune settimane fa, l’Algeria diventerà il principale fornitore per l’Italia, già per l’anno in corso sono previsti 3 bcm in più rispetto allo scorso anno, e dal 2023 diventeranno 6, dei quali 3 in gas liquefatto, o gnl.
Dal 2024 invece si procederà secondo gli accordi a pieno regime, il quale prevede un aumento di 9 bcm. Il gasdotto sarà quello adottato attualmente, ossia il Transmed-Enrico Mattei, un gigante d’acciaio lungo 2475 km, che parte dall’Algeria e percorre la Tunisia, prima di giungere in Sicilia e continuare poi lungo la penisola fino in Slovenia.
Per i rifornimenti di metano l’Italia è servita da ben cinque gasdotti. In Sicilia, oltre al citato Transmed, arriva il Greenstream per le forniture dalla Libia. Ma c’è anche il Tap (un tracciato che parte dall’Azerbaigian), collegamento tra il Salento e la Turchia, passando per la Grecia e l’Albania. C’è ancora il Transitgas, gasdotto che arriva in Piemonte dalla Svizzera, e per finire il Tag, ‘condotta’ che porta il gas dalla Russia via Ucraina, Slovacchia e Austria.
Intanto il cancelliere austriaco, Karl Nehammer, citato dall’Agenzia Tass come uno dei Paesi che avrebbe aderito all’imposizione di Mosca circa i pagamenti in valuta locale per le forniture provenienti dal colosso Gazprom, ha smentito seccamente. E’ noto che l’1 aprile Putin si era rivolto all’Ue dichiarando che a partire dal mese di aprile non si sarebbero più accettate transazioni in Euro o dollari, ma solo in rubli. Un ricatto, certo, rivolto ai cosiddetti ‘paesi ostili a Mosca’, ma anche un diktat, ovvero l’arroganza di chi sa di tenere in pugno l’Europa e la sua dipendenza dal proprio gas naturale.
E di questi tempi si sa bene che non si tratta di una semplice minaccia, dato che tali misure sono diventate d’acciaio nel clima di tensione geopolitico che si è instaurato dall’inizio del conflitto in Ucraina. A rendersi conto che il Cremlino non ha voglia di scherzare sono state la Polonia e la Bulgaria, le quali hanno azzardato ad ignorare tali imposizioni e si sono viste chiudere improvvisamente le forniture.
A Putin non importa granché delle repliche di Ursula von Der Leyen, presidente della Commissione Europea, la quale ha tuonato che il cambio di procedura nei pagamenti richiesta da Mosca viola le sanzioni in corso, questo sembra non sia il tempo della fedeltà agli accordi, e la Russia nei rapporti internazionali si sente autorizzata a seguire solo i suoi interessi.