DI MARIO PIAZZA
Non capisco l’attesa per il discorso di Putin di oggi considerando che da quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina non c’è stato uno solo dei suoi annunci che poi abbia trovato conferma sul campo e, annunci a parte, è facile immaginare la quintalata di vuota retorica che rifilerà al suo popolo. Roba buona per mugicchi della steppa siberiana e per i composti e forzati applausi dei suoi scagnozzi.
A preoccuparmi molto è invece il brano di una trasmissione del primo canale russo tradotto ieri da La7, dove ho ascoltato un giornalista (era ancora vivo, quindi per definizione agli ordini di Putin) spiegare con dovizia di particolari come gli armamenti di cui la Russia dispone siano tanto abbondanti quanto antiquati, pressoché inutili per vincere una guerra che grazie all’aiuto dell’occidente l’Ucraina sta trasformando in un confronto ad alti contenuti tecnologici.
Comunque la pensiate, credo che nessuno di noi sia tanto allocco da ipotizzare che Putin sia disponibile per una sconfitta militare. Quella pubblica ammissione di inferiorità tecnologica a me è suonata come la più classica delle “excusatio non petita”, la pietra angolare di un’architettura che nella spietata azione putiniana porterà inesorabilmente all’unico mezzo di cui il novello Stalin dispone per rimettere le cose in equilibrio: gli ordigni nucleari.
Una situazione molto simile a quella di oggi in Ucraina si verificò in un’altra guerra per procura tra Russia e Stati Uniti, la guerra di Corea nei primi anni 50.
Stalin, ricacciato verso nord dallo strapotere bellico convenzionale degli americani fu sul punto di usare la bomba atomica e soltanto la sua morte improvvisa salvò il genere umano dall’estinzione.
Non ci resta che sperare in una provvidenziale emorragia cerebrale?
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