DI RAFFAELE VESCERA
Ieri, 20 maggio 1857 nasceva a Rodi Garganico Mauro Del Giudice, procuratore generale di cassazione. Domani, 22 maggio 1885 nasceva a Fratta Polesine il deputato socialista Giacomo Matteotti, barbaramente ucciso da una squadraccia fascista.
Mauro Del Giudice, di fede meridionalista, integerrimo magistrato, pagandone le conseguenze in termini di persecuzioni d’ogni genere da parte del potere fascista, incriminò esecutori e mandanti del delitto, facenti capo all’entourage di Mussolini.
Racconto la storia di Mauro Del Giudice nel mio romanzo “Il giudice e Mussolini” di cui vi propongo l’incipit:
“Sotto le mura del castello che domina dall’alto il mare Adriatico diviso tra Nord e Sud dal promontorio garganico, bianco tra l’azzurro del cielo e del mare, il vecchio signore passeggiava dritto, poggiandosi a un bastoncino intarsiato di madreperla. I nemici dicevano che lo faceva per buffonare, per darsi arie immeritate, ma don Mauro Del Giudice che aveva passato gli ottanta da due anni, portava con sé quel legno sì per austera eleganza ma anche per sostegno e necessaria difesa. Posandosi su un sedile scavato dai venti salati nella pietra tenera, aprì La Scienza nuova di Giambattista Vico. Si rialzò reggendo il libro con una mano, ripetendo a voce alta quanto leggeva, perché risuonandogli nelle orecchie gli entrasse in mente.
Quell’uomo aveva fatto traballare i palazzi del potere, facendo vacillare le mire di uomini ambiziosi di insediarsi con perfidia al comando della nazione e le certezze di chi, acquisito con passate perfidie, lo deteneva per diritti ereditari.
Contro quell’uomo s’erano mossi capi di Stato e di governo, cancellerie estere, re e dittatori, ministri e spioni, feroci energumeni e donnine assoldate, nemici palesi e amici fraudolenti, ma minacce di morte e lusinghe di potere non bastarono a frenare la sua corsa verso la verità.
Punire i colpevoli dell’omicidio politico del secolo era il suo assillo, impedirglielo quello di chi aveva ordinato il ratto e l’assassinio del segretario dei socialisti. Con la sparizione di Giacomo Matteotti, un mite deputato determinato a denunciare i crimini del governo, l’aspirante duce avrebbe sostituito la dittatura alla democrazia, l’enfasi retorica alla parola, il servilismo al pensiero, la tirannia alla libertà, la guerra alla pace. Per vent’anni.
Rimuginando le parole del filosofo napoletano, l’anziano giudice sobbalzò al rumore degli scarponi che battevano sulla murgia del Mottarone, “arrivano”, disse parlando a se stesso, e girando la testa vide una massa confusa di ometti vestiti di nero.
Il plotone di esecuzione avanzava, pantaloni corti, bretelle, camicia a lutto e fez in testa, travestimento triste da cupi balilla pur nell’età della gioia. Impugnavano pietre come pistole, a braccio teso pronte per essere sparate al canto di Giovinezza, giovinezza, primavera di beltà…”
Da: “Il giudice e Mussolini” di Raffaele Vescera, Damiani Editore
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