QUANTO AMORE…

DI CLAUDIA SABA

 

Per quanto amore avrei potuto dimostrare
Per tutta la cura che avrei potuto dare…
Tutto girava intorno ad altri, a decisioni non mie.
Salivo i gradini da mia madre con il fiato in gola, tanta era la gioia di rivederli.
Ma bastava poco a trasformare quei momenti in un inferno.
Immancabile la lapidazione.
La mia.
Dopo i consueti abbracci si tornava alle critiche, ai rinfacci, alle accuse.
Restavo lì a subire senza battere ciglio, impassibile.
Poi mi rifugiavo in un angolo aspettando di parare i colpi che, sapevo già, sarebbero arrivati nelle ore successive.
Per molto tempo è stato questo il mio vivere.
Un tiro al bersaglio, dove il bersaglio preferito dei presenti ero sempre io.
Che nome dare a tutto questo?
Crudeltà, superficialità o mancanza di consapevolezza?
Non so.
Avvertivo tutto come una punizione inflitta dall’alto per aver osato fuggire dalle violenze.
Eh si, forse meritavo proprio questo.
E pur di vedere i miei figli con il contagocce accettavo ogni sorta di umiliazione.
La stessa che avevo già subito prima, tra le mura di casa davanti a loro.
Poi, un giorno, nell’angolo più nascosto del cuore, si è aperta una luce.
Mi sono vista persa nella mia miserabile esistenza
E ho detto basta.
Basta a quell’inferno, ai colpi inferti dalle frustrazioni irrisolte di altri, al silenzio mascherato di verità.
E mi sono allontanata.
Per non perdere l’ultimo briciolo di dignità verso me stessa.
C’è bellezza dentro un amore,
ma se non puoi toccare il cuore di chi ami la strada diventa impervia e si fa buio intorno.
Così, per lungo tempo, ho smesso di camminare.
In attesa che le cose potessero cambiare.
Ma stare fermi troppo a lungo provoca ristagni di rabbia.
E allora ho iniziato a muovere i primi passi.
Questa volta verso me stessa.
Contro ogni pregiudizio.
Perché non ero io quella da crocifiggere.
Ma il male, la crudeltà di chi mi aveva condannato senza appello.
La vendetta piena di odio dopo il mio abbandono.
E sono ancora questi oggi
i pregiudizi nei confronti delle donne che lasciano, che trovano il coraggio di denunciare.
Perché alle donne che lasciano non si perdona nulla.
E vanno punite nel peggiore dei modi.
Ma è solo il castigo delle frustrazioni altrui.
Di quelli che impongono con la forza scaricando le proprie sconfitte su chi osa ribellarsi.
Su chi ha il coraggio di dire basta.
Ora, quel mio vivere
non esiste più.
Perché “quando sono salita sul ponte e ho guardato il panorama, ho capito che era ancora meglio, ancora più bello di vedere le due rive assieme.
Ho capito che il meglio era essere un ponte fra due rive”.
Con la consapevolezza di appartenere solo a me stessa.
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