L’AMERICA RISCOPRE IL MEDIO ORIENTE. A CACCIA DI PETROLIO CONTRO PUTIN

DA REDAZIONE

 

Biden presto andrà in Israele e cercherà di ricucite i rapporti con i sauditi. L’analisi spietata di Haaretz: «Biden arriva in un Medio Oriente che cambia e che potrebbe non volerlo». La due isolette della pace tra sauditi e Israele. ‘Diplomazia isostatica’ e autocrazia confusa

Di corsa prima che la guerra finisca

Entro un mese Biden si recherà in visita di Stato in Israele e, in un prossimo futuro, forse anche in Arabia Saudita. O, per essere più franchi e dire le cose come stanno, è obbligato ad andarci. Perché la conduzione che ha fatto delle relazioni internazionali, in questa regione bollente del pianeta, è stata quanto meno pessima, non solo per gli Stati Uniti, ma per l’Occidente nel suo complesso. Nel pubblicare ieri la notizia, il quotidiano di Gerusalemme “Haaretz” ha fatto un’analisi spietata del background politico che ha portato al viaggio del Presidente Usa. Il titolo già spiega tutto: “Biden arriva in un Medio Oriente che cambia e che potrebbe non volerlo”.

Sino a ieri disimpegno

Zvi Bar’el scrive che il leader americano ha cominciato il suo mandato “con l’obiettivo di disimpegnarsi dal Medio Oriente”, ma adesso deve ripensarci. In particolare, Biden si sforzerà di ricucire i legami (che lui però aveva sfilacciato) col principe ereditario saudita bin Salman. In questo momento, la Casa Bianca ha un disperato bisogno di ricostruire buone relazioni con tutti i Paesi della regione. Anche se Biden, su pressione del blocco progressista del suo partito, ha attaccato violentemente, più volte, per la questione dei diritti umani, l’Arabia Saudita. Né più amichevole, pare si sia dimostrato, dicono spifferi di corridoio, con l’Egitto di El-Sissi e col Bahrain.

Lo sconto per gli amici

Il Dipartimento di Stato (Antony Blinken) è stato uno dei più ferventi sostenitori del viaggio di Biden in Medio Oriente. Blinken é allarmatissimo. Alcuni mesi fa aveva spedito a Riad la sua vice, Victoria Nuland, che non è stata nemmeno ricevuta. Mentre, quando Biden ha chiamato il principe, bin Saleman si è rifiutato di parlargli. Come si vede, una situazione già particolarmente compromessa, che ora si cerca di rattoppare con un obiettivo: convincere l’Opec ad aumentare la produzione giornaliera di petrolio. Per calmierare i prezzi e inguaiare la Russia. Ma, in questo momento, sembra complicato.

Le isolette di pace tra sauditi e Israele

Gli Usa si stanno anche impegnando a favorire il passaggio di due isolette del Mar Rosso dai sauditi agli israeliani. Il contraccambio resta per ora misterioso. Bene, se ci passate l’ardito parallelismo con la Scienza delle costruzioni, quella contemporanea sembra diventata una specie di in “diplomazia isostaica”. O, per dirla più semplicemente, una quotidiana revisione (o modifica) di vecchi progetti sotto mutate condizioni, per tenere in piedi un sistema. Che, in questo caso, è quello sempre più traballante degli equilibri geopolitici internazionali.

La ‘diplomazia isostatica’ di Biden

Quando gli Stati Uniti, agli inizi della Presidenza Biden, decisero di concentrare le loro priorità strategiche sulla Cina, elaborarono un piano di disimpegno da altre aree. In Europa, si erano già tirati i remi in barca da un pezzo, in primis per motivi di “cassa”.  E poi per una palese sottovalutazione dell’ex nemico sovietico, ritenuto sempre e comunque, anche dopo il 1989, un “parvenu” delle relazioni internazionali. Un’autocrazia inselvatichita da non prendere troppo sul serio. Anzi, financo da assecondare, un po’ come si fa coi malati di mente, per non avere rogne. Le altre aree mandate al macero dagli americani (senza troppi scrupoli sulla coscienza) sono state quelle dell’Afghanistan e dell’Iraq. Naturalmente, restava il rospo più grosso da ingoiare: il Medio Oriente. E là ci ha pensato l’Isis a trattenere  gli Stati Uniti più del dovuto.

Quando Putin serviva

Risolta quella “pratica”, grazie anche all’intesa con Putin, Washington ha pensato di mollare gli ormeggi. La chiave? Fare riavvicinare tutto il blocco arabo-sunnita a Israele, per creare una coalizione anti-iraniana. Impresa quasi riuscita all’epoca di Trump ma che, per molti motivi, ora Biden rischia di fare colare a picco. È la solita palla al piede dei Democratici americani in politica estera: non sanno cosa sia la “realpolitik” e, spesso, chiudono gli occhi e corrono appresso ai loro ideali. Scatenando tutte le guerre di questo mondo. Difendono la democrazia? Certo. Ma non si chiedono (e non verificano) se il Paese che li ha votati la pensi come loro. Chiamatela pure “autocrazia della democrazia”, se vi pare. Biden, in Medio Oriente, nel Golfo Persico e persino nei rapporti con Stati storicamente “satelliti” di quell’area, ha cambiato politica almeno tre volte in un anno. Confondendo tutto e tutti.

Autocrazia confusa

Prima ha fatto la guerra agli ayatollah e poi li ha blanditi, facendo offerte sproporzionate in relazione all’accordo sul nucleare di Vienna. Con i sauditi ha usato due pesi e due misure e con i palestinesi, si è praticamente girato dall’altro lato. Spendendo qualche parola solo sulla Cisgiordania e ignorando sistematicamente la Striscia di Gaza.

“Ma forse la sintesi migliore di tutto questo, la fornisce ancora una volta “Haaretz”, con l’intervista al politologo americano Aaron David Miller il cui titolo, riferito a Biden, e quasi un epitaffio: “Biden voleva isolare i sauditi e invece ora gli deve baciare l’anello”.

Di Piero Orteca

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31 Maggio 2022