DI ANTONELLA PAVASILI
“’A morte ‘o ssaje ched’è? è una livella.”
Lo scriveva il grande Totò, nel 1964.
Lui, il Principe, ironizzava sulla morte e si prendeva gioco dei vivi.
Di quei vivi che pensavano che anche dopo la morte potessero esserci differenze di casta e di possibilità economiche.
Era il 1964, quasi 60 anni fa.
Oggi, nel 2022, questa stoltezza dei vivi persiste.
Ancora più grave.
Perché non si appiglia ai titoli nobiliari o allo status sociale ma si perde nella miseria di un fiore al cimitero.
Mia zia ha perso la figlioletta 53 anni fa e da allora porta un fiore sulla sua tomba almeno una volta a settimana.
Una mia amica porta sempre un fiore sulla tomba di sua sorella.
E come mia zia e la mia amica tante persone.
Un fiore sulla tomba di un congiunto.
Che non portarlo non significa essere poveri, così come portarlo non significa esser ricchi.
Perché magari per portare quel fiore si rinuncia a un vestito in più all’anno.
Significa solo confortarsi con quel gesto.
E nessuno è autorizzato a giudicare.
Perché “dopo” oltre quel cancello, siamo tutti uguali.
A livella, appunto.