DI MARIO PIAZZA
L’origine della parola è troppo incerta per parlarne ma nella sua accezione corrente tutti i dizionari di tutte le lingue concordano nel definire “eroe” chi in piena libertà di scelta e senza alcun vantaggio personale compie un atto di straordinario coraggio a protezione di qualcun altro.
L’eroismo proprio come la vigliaccheria che è il suo contrario è una qualità strettamente personale che in situazioni molto specifiche può essere estesa a piccoli gruppi, ma più il numero degli eroi si ingrandisce e più la parola perde di significato. Estendere l’eroismo a un’intero popolo è un espediente retorico di natura puramente letteraria e che si tratti di italiani, cubani, vietnamiti, cileni o ucraini non fa alcuna differenza.
Può capitare a chiunque di compiere un gesto eroico anteponendo la vita di altri alla propria, persino la vita di un gattino come capitò a me intorno ai 15 anni.
Mi domando invece cosa ci sia di eroico nel gettare la vita di altri nella sventura senza speranze fosse pure per il più sacrosanto dei princìpi quando la propria mantiene una completa protezione.
Questa riflessione non nasce come qualcuno potrebbe pensare dagli atteggiamenti bellicosi su licenza americana del presidente Zelensky che pure di eroico non hanno assolutamente nulla.
Penso invece alle parole di un altro presidente, a quelle pronunciate ieri da Mattarella al concerto per la festa della Repubblica:
“… e la Repubblica italiana è convintamente impegnata nella ricerca di vie di uscita dal conflitto che portino al ritiro delle truppe occupanti e alla ricostruzione dell’Ucraina.”
Vanno benissimo le vie d’uscita dal conflitto e la ricostruzione dell’Ucraina, ma se il terzo obiettivo è il ritiro totale delle truppe russe in esso è inclusa la promessa di una guerra lunghissima e la disgrazia economica di quella patria che Mattarella ha giurato di difendere da tutto e da tutti.
Sempre grazie al presidente per la sua serietà ed equilibrio, ma di questa scelta di campo estrema ed estremista ne avrei fatto volentieri a meno.