DA REDAZIONE
Previsioni pessimistiche del Financial Times sul fronte anti inflazione e la battaglia sui prezzi dei combustibili. Un po’ più di quello arabo senza toccate realmente quello russo.
Peggiori le previsioni della Banca mondiale su una brusca frenata per l’economia globale. Meno crescita (dal 5,7% al 2,9%), più inflazione (Usa ed Eu sull’8% a crescere). Ed ecco la parola tabù: «stagflazione», convergenza di crescita anemica e aumento del costo della vita.
Prigionieri dei combustibili fossili e a caro prezzo
L’illusione di un’alba senza combustibili fossili. Ma “est modus in rebus” dicevano i latini, cioè c’è modo e modo di fare le cose. E così le strade tracciate dagli scienziati e dagli specialisti del settore energia, sono state selvaggiamente dissestate e rese tortuose dalla politica. Tutti gli accordi pomposamente annunciati, sono stati siglati al ribasso. Fino a quando non è arrivata la “tempesta perfetta”: pandemia, alterazione del ciclo della domanda, interruzione della “supply chain”, la catena di approvvigionamento e, in cauda venenum, l’invasione russa dell’Ucraina. Ergo: oggi la transizione energetica va ripensata, perché prima bisogna tenere in piedi la baracca.
Shock energetico
“Lo shock energetico, scatenato dalla guerra in Ucraina – ha detto al Financial Times Amin Nasser (Saudi Aramco) – ha mostrato la necessità di rivedere i piani di transizione energetica verde e di mantenere gli investimenti nella produzione di petrolio e di gas”. Nell’articolo di Roula Khalaf e Tom Wilson, si fa riferimento “a molta capacità produttiva di idrocarburi attualmente inutilizzata”, una disponibilità che sarebbe indispensabile “per tenere il passo con i picchi della domanda o un’improvvisa interruzione delle forniture esistenti”. Insomma, il petrolio c’è. Ma non viene estratto a sufficienza e messo sul mercato. E qui occorre tenere conto della variabile “impazzita” Putin. Le sanzioni stanno colpendo duramente la Russia, anche se tutti sanno che quelle “energetiche”, per ora, si applicano solo “di facciata”.
‘Variabile Putin’
Senza il petrolio e il gas di Mosca, infatti, giusto in questo momento, l’Europa andrebbe in affanno. Gli accordi UE prevedono di chiudere i rubinetti per il greggio (salvo qualche eccezione) alla fine dell’anno. Per metterci una pezza, gli americani stanno cercando di pressare per l’aumento della produzione globale, in modo da calmierare i prezzi e venire incontro alla domanda. Impresa parzialmente riuscita con l’Opec, anche se le quantità possono definirsi “marginali” e i prezzi, tutto sommato, sono rimasti inchiodati. Come mai? È sempre il Financial Times a cercare di dare una risposta e a fare qualche previsione (fosca per la verità).
Poco più petrolio e sempre molto caro
Derek Brower si chiede come mai, dopo che l’Arabia Saudita e l’Opec hanno alzato la loro produzione giornaliera, i prezzi al barile sono praticamente rimasti immutati (Brent per la consegna ad agosto, 119,51 dollari). Intanto, chiarezza sui numeri. Dopo i salti mortali di Biden, l’Opec si è impegnata a produrre 650 mila barili di greggio in più al giorno, a partire da luglio. In effetti, però, dice il FT, 432 mila erano già stati pianificati in precedenza, per cui il mercato, nel gioco delle aspettative, li aveva già “scontati”. Va poi aggiunto che, secondo Brower, i Paesi più piccoli non riescono a esprimere pienamente la loro capacità produttiva. Per cui, fatti i conti e tirate le somme, l’incremento reale della produzione sarà di soli 355 mila barili al giorno. Drammaticamente insufficiente a colmare l’eventuale “congelamento” del greggio russo. Fino a 3 milioni di barili al giorno, secondo le cifre rese note dall’Agenzia internazionale per l’energia.
E l’America deve ammettere
“L’intervento dell’Arabia Saudita non cambia molto”, afferma l’ex consigliere del Presidente Bush, Bob McNally. D’altro canto, scrive FT, la ripresa cinese dopo il blocco temporaneo dei porti “covid zero”, fa prevedere una domanda globale in aumento e prezzi alti. Prezzi che già stanno salendo, drammaticamente, per la benzina alla pompa, negli Stati Uniti, “causando un mal di testa politico al Presidente a pochi mesi dalle elezioni di Medio termine”. Per questo, dice il Financial Times, l’Amministrazione Usa cerca freneticamente nuove soluzioni. Il Presidente, rimangiandosi gli impegni, vuole rilanciare le trivellazioni per il petrolio da scisto e, magari, abbassare le tasse sulla benzina. Ha anche cercato, turandosi il naso, di fare affari con gli Stati-canaglia, Venezuela e Iran, convincendoli a produrre di più. Ma senza grande successo.
‘Superciclo’ materie prime
Ora, l’immediato futuro è più cupo. Sentite cosa scrive il FT: sullo sfondo di forniture ristrette e robusta domanda di petrolio, si innesterà un “superciclo” nel prezzo delle materie prime. E ci sarà “un’esplosione di nuovi consumi, da parte di economie che crescono con denaro di stimolo dell’era della pandemia”. Per “JPMorgan”, questo deficit energetico (“Exajoule” lo chiamano) potrebbe durare fino alla fine di questo decennio.
Gli analisti di “Morgan Stanley, da parte loro, scommettono (tristemente) che l’unico modo che avremo di calmierare il prezzo dell’energia fossile, nell’immediato futuro, sarà quello di “tagliare” la domanda. Come? Condividendo una infausta recessione.
Di Piero Orteca
Da:
8 Giugno 2022