DA REDAZIONE
L’inflazione obbliga la BCE a muoversi, ultima tra le banche centrali occidentali. ‘La ricreazione è finita’. Per molti Stati dell’Unione, specie quelli del “fronte meridionale”: Italia, Grecia e Spagna. Lo annuncia, in modo molto “british”, ma lapidario, il Financial Times, commentando la presa di posizione della Banca Centrale Europea sulle prossime mosse di politica finanziaria.
Senza bugie pietose
Stop agli acquisti di titoli dei debiti pubblici sovrani e rialzo dello 0,25% dei tassi, a partire da luglio. D’altro canto, l’inflazione (sopra l’8% di media nell’Eurozona) ha ormai rotto tutti gli argini, mentre la “crescita”, che doveva essere salvaguardata lasciando i tassi fermi, non si vede. Insomma, non è per fare i sapientoni, ma l’immobilismo mostrato dalla signora Lagarde e dal Board dell’Istituto di Francoforte ora rischia di inguaiarci tutti. Lo 0,25% è il minimo sindacale. Non risolverà niente e se le cose si dovessero mettere male, dovranno agire di nuovo (e di corsa), prima di quanto sia stato annunciato (settembre). Perché i prezzi non vanno in vacanza. Trascurare un’inflazione da “tempesta perfetta”, come quella che stiamo vivendo adesso (e di cui ancora non si vedono gli orizzonti), significa correre il rischio che il bandolo della matassa ci sfugga di mano. Obbligandoci, poi, in tre mesi, a prendere misure, che potrebbero essere straordinariamente impopolari, e che non sono state prese, per calcolo politico, in tre anni. Infatti. Ora che i buoi sono scappati, Madame Lagarde cerca di chiudere le porte della stalla.
I Paesi carichi di debito
Sentite cosa dice il FT: “Le prospettive di aumento dei tassi d’interesse sollevano preoccupazioni per i Paesi dell’Eurozona carichi di debito”. Nikou Asgari scrive che dopo la crisi dei mutui “sub-prime” americani e le successive tensioni su diversi debiti “sovrani” del Vecchio Continente, le acque si erano fatte progressivamente più calme. Grazie anche, aggiungiamo noi, al “wathever it takes” di Mario Draghi e alla sua strategia di “quantitative easing”, attuata da Presidente della BCE. Una politica che ha consentito di calmierare i tassi e di domare lo “spread” dei Paesi più indebitati, come l’Italia. Poi la pandemia ha spezzato l’incantesimo, creato da “Supermario” e maldigerito dai tedeschi, dagli olandesi e da tutta la compagnia dei “duri e puri” del Nord Europa. Rotti gli argini, è cominciato lo spendi e spandi, “parzialmente giustificato”, come dice il FT, dalla necessità di combattere il coronavirus e di salvare vite umane, oltre che gli stessi cardini della struttura sociale.
Patto di stabilità da pandemia e debito
Il “congelamento” del Patto di stabilità UE è stata una delle necessarie misure adottate. Prorogato per tutto il 2023, però, se fosse sfruttato per gonfiare la spesa in deficit, potrebbe mettere il nostro Paese con le spalle al muro. Perché, dopo lo stop BCE all’acquisto di titoli, la strada più facile per coprire nuovo debito sarebbe quella di imporre nuove tasse. Il Piano di Recupero e resilienza, invece, ha rappresentato l’asse portante di un rilancio continentale ancora in fase di gestazione. Ora, però, la “tempesta perfetta” ha scompensato tutto il quadro, rendendo il sistema economico europeo molto più complesso, trasformandolo, a cascata, in una realtà condizionata da fenomeni imprevedibili e difficili da governare. Pandemia e indebitamento, insomma, vanno a braccetto. Sia sul fronte sanitario, che su quello sociale e produttivo, col binomio “welfare-stimoli”.
Crisi energia, materie prime e guerra
A questo si è aggiunto l’impatto dell’alterazione dei cicli economici (domanda-offerta), che hanno cominciato ad oscillare mandando in tilt anche la catena di approvvigionamento produttivo: energia, materie prime e semilavorati. Su queste emergenze, infine, si è sovrapposta l’invasione russa dell’Ucraina, con le sue devastanti conseguenze, che hanno chiuso il cerchio. L’Europa ha cercato di metterci (lodevolmente) tante pezze, debordando però con la politica di “deficit-spending”. Il Piano nazionale di recupero e resilienza italiano, prevede, infatti, una componente dello stanziamento totale “a fondo perduto” (68,9 miliardi di euro), mentre un’altra è “a debito” (122,6 miliardi). Con l’avvertenza che il “fondo perduto” non è veramente tale, ma che c’è un gioco farraginoso di “dare e avere”.
Debito pubblico di tutti
Allo stesso tempo, bisogna dire che quasi tutti i Paesi (tra cui il nostro) hanno sfondato il tetto del debito pubblico, per tamponare l’emergenza pandemica. Il problema è che la Lagarde ha annunciato lo stop all’acquisto di titoli di debito sovrano (quello che tecnicamente si chiama “quantitative easing”) a partire da luglio. E infatti lo spread italiano è immediatamente salito intorno ai 220 punti. Quindi, ora l’ostacolo è doppio: inflazione alta, che potrebbe ancora salire, se gli squilibri geopolitici internazionali dovessero cronicizzarsi. E, in secondo luogo, necessità di offrire tassi più elevati per i nostri titoli di Stato, per renderli “appetibili”. Con una chiara ricaduta negativa sulla spesa per gli interessi. Mai come in questo momento, forse, la politica estera condiziona quello che arriva sulla nostra tavola. Anche se le dinamiche della globalizzazione economica sono talmente complesse, da rendere gli scenari e i “forecast” imprevedibili a breve termine.
L’imprevedibile a breve termine
“La prova? Nell’autunno dell’anno scorso 17 Premi Nobel, guidati da Joseph Stiglitz, hanno scritto una lettera aperta di sostegno al Presidente Biden. Dicendo che l’inflazione americana (che nel 2021 era al 4,7%) grazie a lui “sarebbe scesa”. Beh, ieri è arrivata all’8,6%”.
Di Piero Orteca
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13 Giugno 2022