DALLA POLITICA ECONOMICA ALL’ECONOMIA POLITICA. LA BCE ORA INSEGUE LA FED USA

DA REDAZIONE

 

La Bce specchio di tutte le contraddizioni europee, perché, visto come si comporta, non fa economia. Fa politica. Nel bene e nel male.

Lo spread che spaventa l’Eurozona. Il differenziale tra i prezzi alla produzione e i prezzi al consumo nell’area euro ci dice che la lotta all’inflazione sarà ben più dura e difficile di quel che si creda, ammette ora la Banca centrale europea dopo troppo lunghi silenzi. Mentre negli Stati Uniti la Fed accelera la stretta: rialzo da 75 punti base, prima volta dal 1994. Cosa ci dicono, cosa dobbiamo cercare di capire, e cosa potrebbe accadere

L’allarme economico trascurato

L’avevamo gridato in tutte le lingue da un bel pezzo: rispetto alla macelleria finanziaria, che si stava verificando in tutto il pianeta, la Banca centrale europea sembrava assente. C’è voluto il terremoto inflazionistico americano, per riuscire a scuotere l’austero (e sonnolento) palazzone di Francoforte. Nell’economia contemporanea hai poco tempo per reagire: le distorsioni, amplificate da scelte sbagliate, si scaricano sui mercati “bruciando” ogni previsione. Così, se prima esiti e poi, di colpo, ti precipiti ad “annunciare” le cose che farai, sorprendendo tutti, il minimo che ti possa capitare è mandare in subbuglio i già precari equilibri finanziari. Specie se al centro dell’incipiente tempesta, nel caso specifico, ci sono Paesi cronicamente debolucci, come l’Italia.

Ieri un colpo di teatro

Usciamo dalla narrazione “politically correct”, che molti fanno per un malinteso senso di “carità di patria”, se non peggio, per una fiducia fin troppo ruffiana nella “solidarietà” dell’Unione. La Bce è lo specchio più fedele di tutte le contraddizioni europee, perché, visto come si comporta, non fa economia. Fa politica. Nel bene e nel male. Il che significa che può anche arrivare a mettersi sotto i piedi logiche scelte di finanza, pur di riequilibrare (ma solo temporaneamente) il sistema”.

L’economia politica

La scorsa settimana, dopo che anche in Europa l’inflazione ha rotto tutti gli argini, i tedeschi dentro la Bce hanno tirato per la giacchetta Christine Lagarde, “invitandola” a battere un colpo. Rialzo dei tassi di 25 punti base (niente) a luglio, ma soprattutto stop all’acquisto di titoli del debito pubblico, vera tenda a ossigeno per Paesi poco virtuosi come l’Italia. Questa seconda mossa ha terrorizzato i mercati, facendo sballare tutti i trend, a cominciare dallo spread. Risultato? Allarme rosso. Non tanto e non solo per i primi crolli, quanto piuttosto per le “aspettative”. E allora si è pensato di organizzare una riunione d’emergenza del Consiglio direttivo Bce che – come scrive il Financial Times – “si è impegnato ad accelerare i piani per creare un nuovo strumento anti-frammentazione. Facendo cenno al crescente divario nel costo del prestito tra sovrani più stabili, come la Germania, e gli Stati membri più vulnerabili (come l’Italia)”.

Il ‘Che fare’ non sapendo cosa e come

La verità è che a Francoforte annaspano e stanno prendendo fiato, ma hanno poco tempo per convincere i mercati. C’è l’esempio americano come ammonimento, dove la Federal Reserve ha colpevolmente trascurato il progredire dell’inflazione. Senza intervenire, per non bloccare la ripresa. Oggi, che il bandolo della matassa le è scappato di mano, con un’inflazione all’8,6% e il Presidente Biden sprofondato nei sondaggi, si alzano i tassi ripetutamente. Ieri la Fed ha fatto un ritocco di altri 75 punti base. Il terzo, il più consistente. Mentre l’Europa ancora è ferma, perché stritolata in una tagliola fatta di inflazione crescente e di Pil praticamente fermo.

La situazione?

Il Financial Times cita le parole di Silvia Merler, responsabile della ricerca politica di Algebris Investments: “L’annuncio fa guadagnare tempo alla Bce, ma non la toglie ancora dall’angolo”. Certo, la politica finanziaria dell’Unione è la risultante di continui compromessi al ribasso. Anche se proprio qualche giorno fa, Isabel Schnabel, del Comitato esecutivo Bce, ha dichiarato che “l’impegno nei confronti dell’euro non ha limiti. E il nostro record d’interventi, quando necessario, supporta questo impegno”. Il che, tradotto in termini più semplici e meno retorici, significa una difesa del cambio fatta con l’elmetto. Pare di capire che i tedeschi non tollerino più ulteriori sforamenti dell’inflazione.

Moneta unica in sistemi e mercati diversi

D’altro canto, sostenere la crescita non è tra i compiti statutari della Banca centrale europea, che si deve prioritariamente concentrare nella lotta all’inflazione. Un compito molto più arduo di quello che tocca ad americani e inglesi che possono contare su sistemi finanziari omogenei. Nell’Unione, invece, abbiamo una moneta unica, ma sistemi fiscali diversi e mercati obbligazionari separati. Ma il problema è un altro.

La vecchia economia e i problemi sociali

La vecchia economia non funziona più, il mondo di oggi è troppo diverso. La disoccupazione, ad esempio, non può essere risolta con gli stimoli macroeconomici, perché in parte è dovuta al differenziale tra lavoro offerto e competenze disponibili. Inoltre, i politici “devono liberarsi dall’impulso di affrontare i problemi sociali attraverso stimoli monetari e fiscali, che alimenteranno l’inflazione, ma non porteranno cambiamenti fondamentali nel potere contrattuale dei lavoratori”.

“È il pensiero di Christopher Pissarides, London School of Economics, Premio Nobel 2010. Il quale profetizza che “debito e inflazione potrebbero vederci perdere il controllo”.

Di Piero Orteca

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16 Giugno 2022