DI MARIO PIAZZA
Ho sempre avuto in simpatia quelli che sfruttando le proprie doti naturali, intelligenza, coraggio, determinazione, talento, riescono a ottenere il successo nel mondo del lavoro, dello spettacolo, nell’arte, in politica.
Non essendo più di primo pelo da parecchio tempo so bene che occorrono anche altri ingredienti meno nobili come una ragionevole dose di disinvoltura e furbizia, e che il tutto serve a poco se non è accompagnato dalla fortuna.
La più sfolgorante carriera di cui siamo stati tutti attoniti spettatori è quella dell’attuale ministro degli esteri Luigi Di Maio, ex vicepremier ed ex capo del fenomeno politico più travolgente del dopoguerra italiano, quello che i suoi detrattori chiameranno per sempre “Giggino il bibbitaro”.
Giggino è la prova vivente che esistono altre strade per raggiungere il successo. Strade fatte di opportunismo, piaggeria, faccia tosta, ciarlataneria, crudeltà, menzogna, ma più di ogni altra cosa fatte di tradimento. Di Maio ha tradito tutto e tutti tranne se stesso: ideali, princìpi, compagni di strada, amici, elettori, mentori, padri spirituali. Senza una innata vocazione per il tradimento non siederebbe senza imbarazzo tra i più importanti personaggi della scena mondiale ma probabilmente e più appropriatamente sulle gradinate dello stadio San Paolo con a tracolla il suo cesto di latta pieno di bibite e popcorn.
Tutto qua, basta e avanza per farmi schierare dalla parte di Conte nonostante tutti i nonostante.