DI EMILIANO RUBBI
Io, di Damiano Tommasi, ricordo una cosa.
Tommasi non era uno baciato dagli dei del pallone.
Coi piedi era tutto fuorché un fenomeno, ma compensava con un’applicazione e un’intelligenza che lo avevano reso uno dei centrocampisti più utilizzati da Fabio Capello.
Addirittura, nel 2001, entrò in classifica per il pallone d’oro e si piazzò venticinquesimo, assieme a gente del calibro di Roberto Baggio, Rui Costa e Steven Gerrard.
Lui, che probabilmente aveva un decimo del talento innato di ognuno di questi.
Quello che mi ha sempre impressionato, in Damiano Tommasi, è stato il suo essere del tutto “sui generis” rispetto ai suoi colleghi calciatori.
Nel 2001, per dire, comprò una collina nei pressi di Verona, con tanto di villa ottocentesca e vigneti annessi, spendendo tre miliardi, per poi donare il tutto a un’associazione benefica.
Nel 2004 si infortunò e, visto che non era sicuro di poter tornare in forma ottimale e di meritare il rinnovo del contratto con la AS Roma, propose alla società di essere pagato 1500 euro al mese per tutto il 2005 (il suo decimo anno in giallorosso).
E potrei andare avanti a lungo.
Non conosco affatto le sue proposte politiche, ma se c’è una cosa di cui sono praticamente certo, sono i solidi valori fondamentali dell’uomo Tommasi.
Avete eletto una gran brava persona, amici veronesi.
Siatene fieri.