DI MIMMO MIRARCHI
Ormai i giorni di guerra non si contano più e chissà quando vedranno la fine. A conferma, Putin ha appena detto che in Ucraina non abbiamo ancora cominciato a fare sul serio. Una guerra tanto sciagurata, come sciagurate sono tutte le guerre. Qui stanno distruggendo case, ospedali, scuole, luoghi di lavoro, infrastrutture e tante vite umane, anche russe, e come disvalore aggiunto c’è una nucleare spada di Damocle pendente sulla testa di molti di noi, europei e non. Senza contare gli effetti connessi e derivanti, vale a dire le tragedie singole fatte di lavoro perso, invalidità, malattie non curate, problematiche psicologiche diffuse, traumi infantili, il pericolo del colera e altro altro ancora. E come sempre accade in ogni guerra a pagare il prezzo più alto è la gente comune, quella che ha più patito le ristrettezze quotidiane e che ultima sarà ad uscire dalle angustie dopo la pacificazione. Su un fronte e sull’altro. Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente.♦
Sarà un concetto scontato, per qualcuno un luogo comune, ma tant’è.
La storia è nota. Putin decide di conquistare l’Ucraina adducendo come pretesto il timore dell’ingerenza NATO in un territorio confinante con la sua Russia e Zelensky si oppone adducendo la libertà di autodeterminazione, ma non dice di aver disatteso gli accordi di Minsk del 2014. Sul comportamento dei due si è detto tanto e ancora si potrebbe dire. Io sintetizzo così: un despota contro un esaltato, laddove entrambi non hanno alcuna intenzione di porre fine alle ostilità se non dopo aver stravinto il braccio di ferro che li occupa. Un contesto tragico sia da un punto di vista umano che economico, che però ci ha mostrato alcune verità che se scolpite nella pietra potrebbero esserci utili per il futuro.
Abbiamo capito che la guerra sul campo non è un residuo del passato. Manca solo l’assalto alla baionetta e il quadro ottocentesco è completo. Eppure durante l’altra “guerra”, quella contro la pandemia ci dicevamo di aver compreso che la vita umana va salvaguardata al massimo e che avremmo dovuto impegnare le nostre risorse economiche in maggiori finanziamenti per la sanità e la ricerca scientifica, che il benessere di ciascuno passa per il benessere di tutti. E abbiamo chiosato: “Ne usciremo migliori”. Come non detto.
Abbiamo capito che la rincorsa agli armamenti non serve ad evitare la guerra e che più armi significa solo più devastazione e più morte. Abbiamo anche appreso che in giro per il mondo ci sono più armi nucleari di quante ne immaginassimo e che parlare di disarmo nucleare è solo un modo per anestetizzare le nostre paure, mentre Usa, Cina, Russia, Corea del Nord, India e altri, tra i quali anche alcuni Stati europei, hanno pronte una serie di testate atomiche pronte a colpire. Forse non lo faranno mai per timore di essere colpiti a loro volta e di portare il pianeta alla totale distruzione, ma un incidente può sempre accadere. E questo non rende la nostra esistenza tranquilla.
Abbiamo capito che la guerra non si fa solo con le armi, ma anche con l’energia e l’alimentazione primaria. La dipendenza dal gas russo e dal grano ucraino dovrebbe insegnarci che dovremmo investire seriamente in energie rinnovabili e smetterla di demonizzare il nucleare. Inoltre, non sarebbe male se cercassimo anche di dislocare la produzione di grano. È il solo modo di emanciparsi dalla sudditanza dei prepotenti. Oggi la Russia, domani potrebbe essere la Cina. Ma anche India, Brasile, Iran, Arabia Saudita potrebbero dire la loro.
Abbiamo anche capito che l’Unione Europea è poco unita e che non riesce a dialogare da pari a pari con gli Stati Uniti, che può continuare a fare e disfare a suo piacimento proprio perché i leader europei marciano ciascuno per conto proprio, impegnati soprattutto nella difesa dei propri interessi nazionali. Inoltre sarebbe il caso di avviare una verifica sull’opportunità di avere dentro l’Unione paesi come l’Ungheria di Orban o la Turchia di Erdoğan.
Abbiamo avuto la conferma ulteriore che per un leader è mistificatorio invocare il popolo a conforto delle proprie scelte e posizioni. Per popolo intendiamo il complesso degli individui che risiedono nello stesso Paese e sottoposti alle stesse leggi e che hanno gli stessi diritti di cittadinanza, ma non è detto che questi siano sempre d’accordo con le sue decisioni pur avendolo votato ed eletto. In particolare quando si tratta di essere coinvolti in una guerra. È il caso dell’Ucraina, dove la maggior parte della popolazione civile, stremata da continui bombardamenti e privazioni, sottoposta a lutti e paure, quasi sicuramente sarebbe ben desiderosa di un negoziato che la portasse fuori dalle angustie. Invece Zelensky utilizza l’opinione di una minoranza di guerrafondai per sostenere che “il popolo” non vuole cedere nemmeno un millimetro del territorio ucraino. Nel caso specifico dell’Ucraina e al punto in cui siamo giunti, ci si chiede, è giusto che tutto dipenda dalle decisioni del solo Zelensky?
Inoltre, qui in Italia, abbiamo avuto contezza che la Costituzione si può anche eludere. In essa c’è scritto che “L’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” (art. 11), dove “ripudia” sta per respingere decisamente. A meno che non si tratta di difendere la Patria, la qual cosa è un “sacro dovere del cittadino” (art. 52). Ora, atteso che per Patria s’intende il territorio abitato da un popolo e al quale ciascuno dei suoi componenti sente di appartenere per nascita, lingua, cultura, storia e tradizioni (Enciclopedia Treccani), va da sé che non essendo l’Ucraina la nostra Patria, noi italiani non siamo tenuti a intervenire in una controversia internazionale ricorrendo alle armi. E se lo facciamo (e lo stiamo facendo) la violazione del dettato costituzionale è chiaramente configurato.
Si dirà: “Allora dovevamo lasciare l’Ucraina al suo destino e permettere a Putin di fare di essa quello che vuole?” Questa è la semplificazione dei guerrafondai mascherati da paladini della libertà che gratuitamente etichettano chi fa obiezioni come le mie di essere putiniano. Ho già detto che Putin non merita nessuna giustificazione per quello che ha fatto e sta facendo. Per altro, questo moderno zar non lo stiamo scoprendo adesso, eppure ci abbiamo fatto affari e alcuni nostri politici importanti lo hanno anche idolatrato, a fronte dei quali in pochissimi si sono presi la briga di contraddirli.
“Sì, ma noi europei, noi italiani che dovevamo fare? voltarci dall’altra parte?” Assolutamente no! Ma partendo dalla storia degli ultimi anni che ha interessato Russia e Ucraina avremmo dovuto cercare con più determinazione la via di un negoziato, a cominciare dal prendere le distanze dal modo di dire e di fare del presidente americano Biden e subito dopo assumere un comportamento univoco e fermo nei rapporti con la Russia, evitando altresì di lasciare il timone nelle sole mani di Zelensky. E anche il centro della ribalta. Lui, che non perde occasione di recitare la sua parte in questa tragica “commedia”.
♦ da “”La guerra che verrà” di Bertolt Brecht
di Mimmo Mirarchi
Da:
9 Luglio 2022