DI MARIO PIAZZA
Non mi ha mai appassionato la cronaca nera, troppa è la differenza tra gli eleganti intrighi di Agatha Christie o di Rex Stout e lo squallore delle vicende umane che puntualmente ad ogni estate alimentano le chiacchiere dei colpevolisti da ombrellone.
Di un colpevole a tutti i costi non so che farmene, quando leggo di assoluzioni clamorose come quella che ieri ha scatenato la rabbia popolare contro gli imputati dell’omicidio di Serena Mollicone non mi passa neppure per la testa di sostituire le mie personali sensazioni al lavoro della magistratura.
Non si tratta di fiducia nella giustizia, meno che mai mi fido quando nel crimine sono coinvolti poliziotti. Troppi sono i processi che fin dalla prima udienza avevano come unico scopo la ricerca degli elementi necessari a scagionarli, dall’omicidio di Giuseppe Pinelli passando per quelli di Carlo Giuliani, di Federico Aldrovandi e di chissà quanti altri.
Non è fiducia, è la consapevolezza che questa giustizia lentissima, approssimativa e troppo spesso manipolata è tutto ciò che abbiamo e che per quanto possa fare schifo è pur sempre meno barbara della giustizia sommaria.