DI MARIO PIAZZA
Nella religione induista il “karma” non è come noi grossolanamente traduciamo l’equivalente del destino o del fato ovvero una strada segnata alla quale non possiamo sottrarci, al contrario è un percorso che si modifica di continuo sulla base delle nostre azioni, siano esse buone o cattive.
Per questo mi piace pensare che il più grande economista dell’universo mondo, il manager stellare che non deve chiedere mai, quello con il curriculum più brillante e con la reputazione più solida non sia ruzzolato nella polvere cone un Salvini qualsiasi per l’inceneritore di Roma, roba che alla fine non ha più spessore di un mojito bevuto in mutande.
Mi piace pensare che sia stato il suo Karma, quello che egli stesso si è preparato nel corso di una vita intera spesa nelle roccaforti della finanza dove due più due fa sempre quattro, dove affamare una nazione come la Grecia è solo una spiacevole necessità, dove milioni di morti di covid possono essere dimenticati per non fermare la macchina dell’economia, dove la gente è al servizio della finanza e non il contrario, dove trascinare in guerra nazioni e continenti è la cosa giusta da fare per annientare un sistema concorrente.
Il suo mondo funziona così, a distanze siderali da quello dei padri di famiglia e del sentire comune. E potrei persino accettarlo come una malattia necessaria per mandare avanti un sistema capitalistico agonizzante che non siamo pronti a sostituire, potrei persino accettarlo se portasse avanti la sua battaglia a viso aperto e non ammantandosi della più lurida ipocrisia.