PROBLEMA AMERICA. PRESIDENTE GOLPISTA E SUCCESSORE A PERDERE

DI ENNIIO REMONDINO

 

Sui fatti di Capitol Hill, la commissione parlamentare d’inchieste statunitense sostiene che l’ex presidente Donald Trump scelse di non chiamare le forze di sicurezza mentre i manifestanti irrompevano nel Campidoglio. La sconfitta elettorale negata e la punizione dovuta ma difficile. Anche se la condanna di Bannon per oltraggio al Congresso può ritorcersi contro Trump.
Dalle “incertezze” Usa, al mondo l’eredità certa di una guerra senza limiti che ha investito l’intero sistema internazionale, e dove l’Occidente ha scoperto di essere una minoranza ormai ben poco capace di influire sulla maggioranza.

Capitol Hill: «Trump scelse di non agire»

Il golpe affidato a protagonisti da comiche, come molto nella protesta modello americano, ma con l’importante sostegno della Casa Bianca che diede agli sciamani della reazione dura e rozza come il loro ispiratore, tre ore di libera devastazione e un po’ di morti facili.

Colpe evidenti condanna difficile

La commissione d’inchiesta sull’assalto al Congresso americano del 6 gennaio 2021 ha ricostruito le tre ore in cui i sostenitori di Donald Trump violarono il centro del potere USA. L’ex presidente Trump passò quelle ore alla Casa Bianca, guardando Fox News e ignorando i consigli di staff e famiglia. Uno smacco in mondovisione per la democrazia americana che –tra l’altro-, costò la vita a cinque persone. L’ex presidente non ha mai riconosciuto il risultato delle elezioni perse in favore di Joe Biden, ma non ha mai portato prove a sostegno delle presunte frodi che spinsero i suoi sostenitori all’attacco. Bugiardo storico, ha definito la commissione “un tribunale illegale”.

Democrazia molto imperfetta

L’indomani dei fatti di Capitol Hill, Trump venne sottoposto alla procedura d’impeachment che, da presidente uscente, avrebbe significato che non si sarebbe potuto ricandidare alle prossime elezioni. Ma l’impeachment – il secondo del suo mandato – venne scongiurato dal voto in Senato. Assoluzione politica mentre le elezioni di midterm si avvicinano, la popolarità del presidente Biden è decisamente in calo, e sul futuro degli Stati Uniti torna a stagliarsi l’ombra di The Donald, l’allarmante analisi Ispi.

Cosa accadde a Capitol Hill?

La commissione d’inchiesta sui fatti del 6 gennaio 2021 ha accusato Trump di essere al centro delle azioni violente che volevano sovvertire il risultato delle elezioni vinte da Joe Biden a novembre 2020. Composta da nove membri, di cui due repubblicani, la commissione ha ricostruito i 187 minuti che passarono dal comizio di Donald Trump prima dell’attacco sino al video su Twitter in cui Trump invitò finalmente i suoi sostenitori a tornare a casa.

Il rifiuto del tifoso o del mandante?

«Per tre ore, si rifiutò di interrompere l’attacco», sostiene Adam Kinzinger, membro repubblicano della commissione. «Si rifiutò di ascoltare i consigli della famiglia, degli amici, dello staff e dei suoi consiglieri […] si è trattato di una violazione totale del giuramento e di una inadempienza nei confronti della nazione», il giudizio di Kinzinger.

Mike Pence, vice sacrificabile

Tra i testimoni chiave di quelle tre ore, ci sarebbe anche l’ex vice di Trump, Mike Pence, che quel giorno venne preso di mira dagli assalitori come “traditore” reo – secondo i golpisti armati– di aver certificato il risultato del voto. La testimonianza di Mike Pence è cruciale per capire che tipo di pressioni ricevette da Trump per ostacolare il riconoscimento della vittoria di Biden e, quindi, come si arrivò sull’orlo di una crisi costituzionale e all’assalto di Capitol Hill. Una testimonianza che potrebbe portare a un deferimento per Trump al Dipartimento di giustizia.

Tra la giustizia e la politica

Ma, come riporta il New York Times, alla cooperazione con la commissione, l’ex vice Pence starebbe facendo prevalere calcoli di natura politica in previsione delle elezioni di metà mandato del prossimo novembre, quando i repubblicani potrebbero tornare in controllo del Congresso.

Equilibri alle elezioni di metà mandato

Solo 100 giorni alle elezioni di midterm, appuntamento cruciale sulla popolarità del presidente democratico del dopo Trump. Verranno eletti anche i ‘Segretari di stato’ –i Governatori-, di 27 stati federati, che al momento sono 14 repubblicani e 13 democratici. Il timore diffuso tra i dem, specialmente nell’ala sinistra del partito, è che una vittoria dei lealisti di Trump al midterm sarebbe una seria ipoteca sulla sua rielezione nel 2024.

Le manipolazioni divenute regola

I segretari degli stati USA è una carica per lo più amministrativa, ma l’epilogo violento delle ultime presidenziali ha fortemente politicizzato la loro nomina. E infatti Trump ha sostenuto quella di candidati repubblicani che sposano la sua teoria del complotto sul voto del 2020. Una mossa che ha l’obiettivo politico di capitalizzare le preferenze repubblicane su se stesso, misurando la lealtà degli iscritti al partito.

Lealtà misurata sulla Bugia

Una lealtà che non è stata scalfita dai fatti di Capitol Hill, ma che, anzi, fa perno su di essi. Secondo un sondaggio, il 72% di coloro che votarono Trump nel 2020 è convinto che le elezioni siano state frodate da Biden. In altre parole: un elettore su tre crede che l’attuale presidente ricopra la carica in modo illegittimo.

Golpista salvo democratici puniti?

Il partito democratico si prepara quindi al midterm sapendo che gli avversari repubblicani sceglieranno la corrente radicale fedele all’ex presidente, secondo l’analisi dell’Istituto Studi di Politica Internazionale. Nei tre mesi che mancano alle elezioni Biden avrà modo di fare autocritica, ma i buchi da coprire sono molti. A minare la linea politica democratica c’è stata anche la Corte Suprema. Prima con la bocciatura delle restrizioni al porto d’armi, decisione beffa a poche settimane di distanza dalla strage di bambini di Uvalde. Poi con la cancellazione del diritto all’aborto subito cavalcata con ferocia degli Stati più reazionari.

Economia e inflazione a vincere su tutto

Gli strateghi repubblicani sanno che la questione dell’aborto sarà un catalizzatore di voti democratici, ma – come analizza John Harwood della CNN – “sono anche convinti che dominerà l’insoddisfazione per le condizioni economiche”. L’economia USA ha registrato infatti l’inflazione più alta dal 1981: 9,1%. Un dato che si traduce in un aumento dei costi del cibo e dei servizi e che, accompagnato all’aumento del costo dell’energia, erode il potere d’acquisto dei cittadini statunitensi.

Poca Ucraina, molti inciampi esteri

«Se al malcontento per la quotidianità americana si prendono in considerazione anche alcuni fallimenti in politica estera», elenca con educata moderazione Ispi. Come il disastroso ritiro dall’Afghanistan o o il recente viaggio in Arabia Saudita del principe Mohammed bin Salman – guerra alla Russia in Ucraina neppure nominata- «allora il rischio che a novembre i democratici perdano la maggioranza sia alla Camera dei rappresentanti che al Senato si fa più concreto».

Ma stavolta Bannon sbaglia presidente

“Stephen Bannon è colpevole di oltraggio al Congresso per essersi rifiutato di testimoniare davanti alla commissione d’inchiesta sull’assalto del 6 gennaio a Capitol Hill. E’ il verdetto raggiunto dalla giuria al termine di sole tre ore di camera di consiglio. Ora rischia il carcere. Un verdetto che piove come un macigno su Donald Trump e le sue ambizioni presidenziali per il 2024”.

 

Editoriale da:

23 Luglio 2022