DI ANTONELLO SETTE
La chirurgia estetica, si sa, è un’industria che tira e sul mercato fioriscono marchi e rimedi, che promettono di stupire gli aspiranti clienti, donne e uomini che siano. Il settore più stupefacente, prolifico e remunerativo è senza ombra di dubbio quello delle protesi mammarie, là dove si prospetta, e il più delle volte garantisce, un seno plasmato come quello di una statua greca. Nel marasma delle offerte e controfferte più suadenti, ci è capitato di imbatterci in una storia quantomeno curiosa e, almeno per un certo periodo, verosimilmente incresciosa. La Silimed è un’azienda brasiliana che da oltre 40 anni produce protesi mammarie e non solo, inizialmente indirizzate al mercato autoctono e sudamericano. Sull’onda di un successo, che sembra irrefrenabile, Silimed sbarca in Europa, dove le viene rilasciata l’autorizzazione Ue da un autorevolissimo certificatore tedesco. Quando tutto sembra andare, anche in Italia, a gonfie vele, nel 2015 sulla Silimed si abbatte un fulmine a ciel sereno. Una mannaia. Una scure. Una tempesta giudiziaria, amministrativa e mediatica, che sembra definitivamente travolgerla. Tutti i dispositivi medici, prodotti dalla Silimed, sono bloccati in via precauzionale, dopo che un’ispezione presso un suo sito produttivo ha evidenziato la presenza di particelle sospette su vari prodotti, fra cui protesi mammarie, bendaggi gastrici, palloncini e impianti di silicone per chirurgia generale. La stampa estera paventa, addirittura, la presenza di fibre di vetro. Una circolare del ministero della Salute parla di “residui di materiale non previsto sulla superficie di alcuni prodotti”. La comunicazione della sospensione temporanea è data dalla tedesca “Autorità centrale dei Laender per la salute, i farmaci e i prodotti sanitari”, che ha provveduto a informare tutte le autorità competenti dell’Unione Europea. La sospensione del certificato CE per i dispositivi Silimed è giustificata dalla rilevata presenza di materiale, che li rende non conformi alle direttive europee. Sino ad avviso contrario, non potranno, quindi, essere distribuiti e venduti. L’elencazione dei presidi sospesi copre l’intero arco produttivo e svaria, a puro titolo esemplificativo, dalla chirurgia plastica delle mammelle e dei glutei agli impianti dei testicoli e del pene. Fine della storia, direte voi. Tutto perduto, compreso l’onore. Vi sbagliate. La storia sembra improvvisamente riaprirsi a un lieto fine. Il sito della Silimed, elegante e ammaliatore, aggiorna la storia. Ci risiamo. Anzi ci siamo sempre stati. Fra le righe viene esibito un nuovo certificato CE, rilasciato da un imprecisato ente controllore, sicuramente meno prestigioso di quello precedente, forse, stando ai sussurri, di nazionalità polacca. Tutto a posto. Tutto in ordine. L’incidente di percorso del 2015? Il materiale incongruo, le fibre di vetro, la sospensione della licenza CE, della distribuzione e delle vendite? Acqua passata sotto misteriosi ponti, di cui naturalmente nel suadente sito non troverete alcuna menzione. La resuscitata, anzi mai morte, Silimed che, partendo dal Brasile, ha “conquistato” il mondo, ha anche una nuova sede. Non più a Roma, ma a Vicenza, per l’esattezza al numero civico 39 di via Giovanni Maganza, detto dagli amici Magagnò. L’immagine, al riguardo fornita da Google street, non fa, a dir la verità, onore al marchio di fabbrica della bellezza istaurata o restituita. Dettagli, forse inutili, obietterete. Dando fondo alle mie reminiscenze latine, ricordo, però, agli obiettori che “dubitare humanum est e perseverare diabolicum”. Ci sia consentito di far nostra almeno la prima parte della celebre massima. La saggezza romana non mente.
di Antonello Sette