LA TURCHIA DELLE PIROETTE NATO, CON L’INFLAZIONE ALL’80% E’ IN GUERRA COL SUO FUTURO

DI PIERO ORTECA

 

Turchia, dati dell’Istituto di statistica nazionale Tuik, inflazione quasi all’80% in un anno. Secondo l’Istituto indipendente Enag è invece al 175,5%. Insomma la sua YTL, la Nuova Lira è diventata carta straccia come quella vecchia che tutti speravano dimenticata. Soprattutto i cittadini turchi che adesso devono ancora rincorrere le mirabolanti strategie del Presidente-Sultano, l’indubbiamente creativo Erdogan, prima di passare dalla paura alla piazza. E anche lì, col rischio di scegliere il nemico sbagliato.

Economist e inflazione, Turchia caso scuola

Secondo l’Economist la Turchia rappresenta un caso-scuola. Di cui non vantarsi. Tutto quello che non bisognerebbe fare, tanto per capirci, per bloccare un’inflazione che sale a rotta di collo. Nel gennaio di quest’anno, the “Bible” titolava: “La politica monetaria di Erdogan è folle come sembra? La maggior parte degli economisti pensa che i tassi d’interesse moderino l’inflazione. Lui, invece, non è d’accordo”.

‘Erdoganomics’

Leggiamo anche il titolo dell’editoriale che l’Economist ha dedicato all’argomento qualche giorno fa: “Lezioni dalla Turchia sui mali dell’alta inflazione. Danneggia gli investimenti e rende la maggior parte delle persone più povere”. In mezzo ci sono sette mesi di “Erdoganomics”, cioè un periodo di tempo breve, per quanto riguarda i cicli economici, ma sufficientemente lungo per dare modo al nuovo Sultano dell’ex Sublime porta di disastrare gli equilibri finanziari del Paese. Severo il giudizio dell’autorevolissima rivista britannica, nota per sparare contro chiunque tratti disavanzi pubblici, distorsioni dei prezzi e debiti sovrani come se fossero problemi di piccolo cabotaggio. E non capita solo ad Ankara o a Istanbul. Anche a Washington e a Francoforte, alla BCE, ne sanno qualcosa.

Impoverire i poveri per salvare i ricchi

Erdogan ha fatto una cosa gravissima, sfruttando la sua autorità “straripante” (usiamo un eufemismo) e credendo di conoscere meglio degli altri la Teoria economica (si è laureato in questa disciplina all’Università di Marmara). Per farla breve, ha costretto la sua Banca centrale, dopo aver cambiato in pochi anni tre governatori, a tenere i tassi d’interesse ostinatamente bassi. Questo ha “drogato” l’economia nel breve periodo, facendo alzare il Pil (fino al 7,5% nel 2021), ma, contemporaneamente, ha fatto decollare a razzo l’inflazione che, di mese in mese, ha battuto tutti i record.

“Quando Erdogan si è inventato economista, l’inflazione turca era al 20%. Alla fine della sua “cura” espansiva, viaggiava intorno all’80%. Non bisogna avere studiato ad Harvard per capire l’impatto di un simile sconquasso su tutto il sistema-Paese”.

Se hai una lira, spendine due

Anche perché il Pil, quest’anno, non andrà oltre il 3,5%, mentre la valuta nazionale (la lira) è sprofondata a 17 unità per dollaro. Come dice l’Economist, ormai l’inflazione turca si autoalimenta. Non appena la gente ha una lira in tasca, corre a spenderne due, perché domani i prezzi ipotizzati potrebbero essere raddoppiati. È un cane che si morde la coda. Più prodotti porti sugli scaffali dei supermercati e più prodotti scompaiono nell’arco di poche ore. L’inflazione ha rotto il rapporto fiduciario tra domanda e offerta, tra fornitori e consumatori e, quello che è peggio, tra governo e cittadini.

Le incalzanti variazioni di prezzo di energia, materie prime e semilavorati, alterando la catena degli approvvigionamenti costringono tutte le imprese a vivere con orizzonti temporali brevissimi.

Opere faraoniche e apparato militare

La programmazione di lungo periodo è scomparsa e quella di medio periodo è praticamente impossibile, dato che il valore dei fattori della produzione cambia continuamente. Si vive e si lavora, insomma, alla giornata. Ne risente, in primo luogo, il mercato del lavoro. L’indice della disoccupazione ha già sfondato il 10% e rischia d’impennarsi ancora. Di conseguenza, il parere degli analisti britannici è che il peso maggiore di questa crisi, ormai dilagante, si possa trasferire velocemente sul terreno degli scontri sociali.

“La valutazione è sempre la stessa: l’inflazione è una tassa occulta, che accentua la redistribuzione asimmetrica della ricchezza e che finisce per penalizzare i più poveri”.

Robin d’Anatolia

Facendo un’analisi costi-benefici è come se un Robin Hood perverso togliesse ai poveri per dare ai ricchi. Se il governo turco non interverrà con decisione, dando mandato alla sua Banca centrale di agire correttamente, nessuno può prevedere il futuro della Turchia, già a partire da quest’inverno. Ma i segnali non sono incoraggianti. Il “board” della Banca, riunitosi la scorsa settimana, ha lasciato i tassi invariati al 14%, per cui non è sbagliato pensare che la Turchia rafforzerà il suo record mondiale di inflazione.

Rabbia popolare contro chi?

“L’anno prossimo, a giugno, si terranno le elezioni presidenziali, ma con un simile curriculum Erdogan non si vede come possa sperare di vincere. Il timore è che, assieme a un’eventuale stretta sui tassi, il “sultano” possa studiare altri tipi di intervento, per anticipare l’esplosione del malcontento popolare”.

 

Di Piero Orteca da

 

28 Luglio 2022