LA STRATEGIA DI LETTA E IL MOVIMENTO 5 STELLE

DI GIOACCHINO MUSUMECI

 

Ironia a parte è ovvio che Enrico Letta non sia stupido quant’è ovvio che l’elettorato capisca cosa stia macchinando il Pd.
Alla base dagli assurdi apparenti un calcolo approssimativo ma non privo di prospettive: la compagine lettiana ha stimato che il Movimento non sarà incisivo se non addirittura invisibile a seconda dei collegi. Ciò per tre fattori: influenza mediatica, ostracismo di Beppe Grillo e assenza di candidati che oltre Giuseppe Conte e i Big esclusi dal vincolo del secondo mandato il Movimento deve intercettare e rendere appetibili. Questo è un problema trasversale ma le forze politiche, Movimento escluso, usano i loro pezzi pesanti per trarne profitto elettorale. La si giri come vuole ma la corsa con le stampelle si perde pure male.

Sbagliatissime a mio avviso, le speculazioni di elettori che sovrappongono lo scenario del 2018 a quello di oggi in cui esiste un Movimento claudicante che in meno di due mesi dovrebbe proporre un restyling convincente per il suo rilancio. Mentre nel 2018 si partiva coi motori al massimo oggi si parte grippati, ogni minimo errore strategico ha un costo altissimo. Queste le principali debolezze dei pentastellati. La forza è contenuta nel programma nitido e interessantissimo ma penalizzato dal vuoto alle spalle di Conte.
Stante questo, Letta ha stimato per i grillini un 10% compensato dalla somma di percentuali risibili ottenute con gli alleati.
Il segretario Dem ha inoltre considerato che se i miseri voti di Renzi, Calenda e Di Maio serviranno a controbilanciare l’esclusione del Movimento, una parte dell’ingenuo elettorato piddino dovrà rassegnarsi a cambiare casa per l’orrore diffamante intrinseco ai vari Calenda Renzi e Di Maio.
Questi non ingrosseranno le file della Meloni ma andranno forse verso Il Movimento e prima ancora verso verso Leu e Articolo Uno. In politica contano i risultati e non si può escludere che per arginare la Meloni tutti questi convergano proprio verso Letta.
Naturalmente si tratta di un rischio: questa tornata elettorale stabilisce una volta per sempre che gli obiettivi di Pd è Cdx coincidono, patetici e risibili i tentativi del segretario Dem di accreditarsi a sinistra mentre il Pd si produce nell’ennesimo capolavoro di atroce trasformismo. Al contrario Giorgia Meloni, conservatrice cattolica i cui argomenti inneggiano all’uomo che dispone e la donna accudisce, è dichiaratamente quel che è da sempre. Considerato che l’Italia va a braccetto con maschilismo e femminicidi, agli occhi degli italiani la Meloni puzza addirittura meno di altri.
Quindi aggregare Leu e Articolo Uno per Letta & Co è un corollario strategico esclusivamente utile a marginalizzare ulteriormente il Movimento di Conte. Comunque sia Fratoianni e Bersani non si sono pronunciati sulle loro intenzioni.
Resta acclarato che sul fronte programmi il Pd vaga per le terre, si passa dalle spiagge occupate al fantasma del fascismo passando per Putin e la caduta di Draghi, argomenti che non interessano gli Italiani perché in nessuno di questi c’è un tema politico rilevante. Sfortunatamente e spero di sbagliarmi, a meno di miracoli dubito che il Movimento sia efficacemente organizzato per approfittare di tante debolezze del Pd; ciò per le ragioni spiegate prima. Certamente non basteranno le eventuali candidature di Santoro e Di Battista se i pentastellati sono azzerati per il limite del doppio mandato. Nel 2018 erano spinti dal vento della novità e della protesta di cui avevano intercettato ogni singola sfumatura. Oggi quella spinta non c’è più e l’unica forza del Movimento è racchiusa in Giuseppe Conte e i Big presto esclusi. Oltre questo c’è qualcosa?

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29 luglio 2022