DI MIMMO MIRARCHI
Ed eccomi di nuovo qui, al Bar Sport, regno dei millantatori e luogo delle proposte disinvolte, che a dire degli avventori sono applicabili e risolutive. Qui c’è sempre chi ha la formazione giusta per la Nazionale di calcio, chi sa dirti con sicumera quali provvedimenti deve prendere il sindaco, quali decreti deve approvare il governo e cosa deve fare il Capo dello Stato. E anche quali decisioni deve assumere il presidente degli Stati Uniti in merito alle crisi mondiali che di volta in volta si presentano. “Se io fossi il … farei… ordinerei… metterei… “ è l’incipit con il quale, tra una mano di scopone e l’altra, si vestono i panni della personalità del caso per assumere le decisioni da prendere su questioni che attengono sia la bocciofila del posto che l’intero mondo. Oggi, nel mio Bar Sport ho incontrato Enrico Letta, l’ho invitato a sedere a uno dei tavoli, e dopo aver ordinato due birre gli ho detto:
Tu, Enrico, nelle ultime settimane ti sei dato molto da fare per cercare di creare uno schieramento in grado di opporsi alla deriva fascistoide rappresentata da Meloni e Salvini, ormai lanciati verso il governo del Paese. Altresì, si prevede una loro maggioranza parlamentare, che dopo aver messo a sedere Berlusconi sullo scranno della presidenza del Senato, seconda carica dello Stato, non esiterebbe a cambiare autonomamente la Costituzione in senso presidenzialista. E forse metterebbero le mani anche su altre norme costituzionali alla base del pluralismo democratico e dei diritti civili. Non è escluso che i due abolirebbero la Festa della Liberazione e darebbero maggiore impulso al sovranismo. Ci condurrebbero nel gruppo di Visegrad e la nostra posizione nell’Unione Europea subirebbe significativi cambiamenti.
È chiaro che una prospettiva del genere è da impedire con tutte le forze di cui dispone l’Italia democratica. Ed è in quest’ottica che tu, alla luce di un sistema elettorale – il Rosatellum – che tutti criticate ma che nessuno ha voluto cambiare, hai avviato una serie di incontri finalizzati a un accordo elettorale con moderati e progressisti in grado di sfilare quanti più collegi possibili al campo avversario. Ciò nonostante, diciamolo, non si può dire che il tuo dinamismo abbia prodotto risultati apprezzabili.
Dopo aver dato l’ostracismo a Conte; hai giocato d’azzardo con Calenda, che poi, e meno male, è stato ripudiato da Bonino e Della Vedova con i quali si era precedentemente associato; hai imbarcato un inviso Di Maio col rischio di perderci più che guadagnare; Tabacci c’è ma non toglie e non mette; hai stretto con Fratoianni e Bonelli senza un vero perché; Renzi l’hai tenuto fuori, forse per toglierti un vecchio sassolino dalla scarpa, ma bene hai fatto perché persona inaffidabile e arrivista; Bersani e Speranza non parlano ma si suppone che faranno parte dell’equipaggio.
Insomma, caro Enrico, proprio bene non siamo messi. A Giorgia Meloni basterà parlare il meno possibile per mantenere un cospicuo consenso. Tu invece parli e a volte sparli. Dimmi, ma era proprio necessario usare l’espressione “incipriarsi” per contestare i suoi tentativi di accreditarsi un’immagine europea ammantata di spirito democratico? Per lei è stato facile accusarti di sessismo e sterilizzare le tue giuste osservazioni.
A fare un po’ di conti, nell’uninominale c’è poco da prendere. Nel proporzionale si potrà ottenere qualcosa in più, ma difficilmente servirà a ribaltare una situazione compromessa dal cattivo modo di far politica degli ultimi cinque anni e una pessima gestione delle possibili alleanze.
Con questo non voglio dire che bisogna deporre le armi e arrendersi al “nemico”. Con tutto lo scoramento che mi porto dentro, il solo pensiero che questa becera destra possa appropriarsi delle Istituzioni e farne strame, non mi fa dormire la notte. Però devo anche dirti che sono stanco di dare il mio voto solo per fermare qualcuno. L’altro ieri era Berlusconi, ieri Grillo, oggi è Giorgia Meloni. Possibile che in tutti questi anni il Pd non sia riuscito a darsi un’identità definita, creando così più delusioni che speranze? E insieme ad esso anche tutta l’area di centrosinistra. Credimi, non sono così utopista da aspettarmi la Repubblica di Platone o la Città del Sole di Campanella, ma mi sentirei meno affranto se negli ultimi trent’anni i partiti che si ispirano al progressismo si fossero prodigati seriamente per realizzare solo una piccola parte delle belle idee programmatiche promesse.
Ora, invocare il pericolo di un arretramento democratico dell’Italia è giusto, ma non si può pensare di riavvicinare giovani e astensionisti dicendo semplicemente che dall’altra parte ci sono i fascisti. Caro Enrico, più che limitarsi a demonizzare gli avversari forse sarebbe preferibile avanzare proposte concrete e credibili. E visto che siamo al Bar Sport posso anche darti qualche mio ardito suggerimento. Intanto ti direi di riprendere l’ipotesi di quel raggruppamento di democratici e progressisti ipotizzato e metterci dentro alcune battaglie in cui hanno creduto alcuni pezzi della società civile, a cominciare dallo ius culturae e una vera transizione ecologica. Poi la legge sul fine vita e una seria politica di accoglienza dei migranti, un riequilibrio del reddito di cittadinanza accompagnato da politiche del lavoro efficaci e una revisione del sistema fiscale con una progressività più equa. E per evitare che il tutto sia considerato come la solita enunciazione demagogica questa volta è necessario che voi del Pd, punta del raggruppamento, elaboriate un percorso concreto che tenga conto anche dei desiderata dei compagni di strada in maniera che possa essere da loro condiviso. Perché, è chiaro, che la premessa per essere credibili è parlare alla gente con una sola voce. Agli alleati, però, va chiarito con fermezza che ogni bizza è interdetta. Piccole limature possono anche essere prese in considerazione, ma risolte in poche ore. Non c’è tempo per dilungarsi in prolisse discussioni. Fischia il vento e infuria la bufera, / scarpe rotte eppur bisogna andar. Se a loro sta a cuore la salvaguardia delle Istituzioni democratiche capiranno. Viceversa, ognuno per sé e Dio per tutti. Può sembrare un atteggiamento arrogante, ma è la sola strategia per tentare di annullare ogni prospettiva avversa, quanto meno cercare di “morire” in piedi. Perciò niente chiacchiere e bizantinismi. Questo è il momento di guardare negli occhi il potenziale elettorato e siglare un patto “col sangue”. Impegnarsi cioè ad avviare l’iter legislativo dei progetti enunciati a partire dal giorno dopo l’insediamento del nuovo Parlamento se si dovesse andare al governo, ovvero presentare disegni di legge appositi da dibattere nelle aule parlamentari e tra la gente, se all’opposizione.
Vedi, segretario, mi rendo conto che c’è del drastico nel mio ragionamento, ma è mia convinzione che oggi l’unica possibilità per evitare il disastro incombente è serrare le fila e declinare con chiarezza da che parte stare e per fare cosa. È la sola speranza di mobilitare l’elettorato smarrito e riacquistarne il credito. Suonare l’adunata per opporsi alla destra è importante, ma non può bastare. La sola “chiamata alle armi” in nome di un dovere civico fa parte di una retorica che non fa più presa se il partito in cui si è creduto per anni ha prodotto solo insipienza politica. Ed è solo facendola diventare senso autentico di partecipazione che si può sperare di riportare al seggio tutte quelle donne e uomini, giovani e non, che delusi, frustrati e, lasciami dire, anche schifati sono precipitati nel buio della disaffezione.
Come ho sempre fatto, anche questa volta andrò a votare, perché la sola idea che Meloni e Salvini possano prendere le redini del Paese è già ragione sufficiente per mobilitarmi. Ma, credimi, se nulla cambia la tentazione di unirsi a quell’esercito di agnostici diventa sempre più pressante. Tenetene conto, tu e quella parte della Sinistra in cui ho sempre creduto.
Alla fine, le birre ha voluto pagarle lui. Chissà, forse è un segnale positivo
Da:
12 Agosto 2022